IRREVERSIBLE
di Gasper Noé
con Monica Bellucci e Vincent Cassel



Lo scandalo così capillarmente meditato e costruito per quest'edizione del Festival di Cannes è stato un clamoroso flop. Il film di Gaspar Noé, infatti, più che scioccare o sconvolgere il pubblico sottoposto alla visione delle più inaudite ed inaccettbili delle violenze, infastidisce e disgusta per la gratuità ed idiozia della mattanza celebrata nonchè per la mancanza assoluta di qualsiasi giustificazione alla greve sostanza della pellicola in cui sfacciatamente si esibisce e sciattamente si procede nella teorizzazione di una delle più volgari e dozzinali ipotesi sulla natura belluina dell'essere umano. La cosa migliore del film, infatti, è l'idea di un avvio originale che parte proiettando i titoli di coda al contrario ed a lettere invertite, assecondati da un accompagnamento musicale volutamente opprimente e di forte impatto. Dire che la cosa migliore di una pellicola sono i titoli di coda, naturalmente, non è commento facile ma, dall'inizio della proiezione vera e propria fino alla fine non ci si può non chiedere come un film del genere possa essere stato partorito da mente umana e, soprattutto, come possa essere stato selezionato tra i titoli in Concorso di un Festival prestigioso come il presente. Nessun talento, nessun messaggio (tranne il banalissimo: "il tempo distrugge tutto"), nessuna attesa, nessuna giustificazione, niente di niente per più di 1h30 di martirio. Per i primi venti minuti siamo costretti ad immergerci nel più assurdo degli incubi, brutalizzati da una telecamera che non fa altro che roteare su se stessa senza mai fissarsi su un'inquadratura, in un girotondo macabro e nauseante sullo sfondo dell'abiezione e degrado di un ambiente che è molto più orribile di qualsiasi girone dantesco mai raffigurato. Un effetto sonoro stridente, piatto ed ininterrotto guida il nostro viaggio nel club omosessuale dal nome evocativo-simbolico "RECTUM", alla luce di fioche lampadine ovviamente rosse, in cui Vincent Cassel si getta come fiera assetata di vendetta alla ricerca dello stupratore della sua fidanzata. I particolari sfiorati dall'occhio della cinepresa sono spudorati come schiaffi e mostrano con violenza furbesca una promiscuità che non alligna neppure ai livelli più infimi dell'istintualità belluina. Scene di una brutalità inconsulta vogliono dimostrare che l'uomo, per quanto animale dotato di razionalità, è solo ad un soffio dal collasso verso la furia e che tutti gli impulsi ricevuti dal mondo esterno non possono essere a lungo dominati e finiscono col produrre la reazione prevaricatrice e distruttiva tipica di un qualsiasi predatore. In accordo col titolo, la narrazione si svolge in compartimenti stagni, secondo moduli che si susseguono l'uno all'altro dall'ultimo al primo a disvelare qual è la normalità che l'evento irreversibile va a distruggere per sempre, ad indicare, con crudele ironia, qual è la catena che ha condotto ad un incidente fortuito in grado di spezzare la vita delle persone coinvolte. La scena dello stupro della Bellucci, paradossalmente, è la cosa meno orripilante e memorabile del film: eccessiva per lunghezza ed esibizione, purtuttavia sa di artefatto ed irrimediabilmente fasullo e, perciò, non ottiene il risultato sperato di umiliare, assieme allo splendido corpo della protagonista, anche la mente e la coscienza di chi osserva. La Bellucci, perfetta come una statua, non comunica affatto la sensazione del trauma e, per quanto si dimeni ed urli, sembra sempre pensare alla finzione messa in scena e flirtare, pertanto, con l'occhio della telecamera che indugia su di lei con compiacimento. Un finale scontato e fiaccamente moralista non aggiunge nulla ad un film che non merita alcuna attenzione e che annoia solamente quando pretende di prendere in giro chi va al cinema per assistere ad uno spettacolo che significhi qualcosa.

Voto: n.c.

Elisa SCHIANCHI
24 - 05 - 02


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