Tra i registi più sottovalutati in forze a Hollywood, James
Mangold firma ora (dopo quella splendida chiosa su
Psycho che era
Identity del 2003) una delle riletture di
Intrigo Internazionale di Hitchcock più intelligenti mai fatte.
Si sa: Intrigo internazionale
è una sorta di criptoremake della narrativa protohollywoodiana per
eccellenza: l’Edipo. Un uomo finiva intrappolato in un nome senza corpo, il
“significante Kaplan”: gli piomba addosso un’identità che non è la sua, e
“matura” accedendo all’età adulta solo quando viene a patti con questo
“destino” che è l’irriducibile estraneità del soggetto a se stesso. La cosa
va di pari passo con un difficile avvicinamento verso l’altro sesso,
dominato costantemente dalla paura del tradimento e del doppiogioco.
Qui non c’è più un uomo intrappolato in un complotto mondiale insieme a una
donna che non si sa bene quanto sia fidata e quanto infida. Qui c’è una
donna che ci casca dentro – e la spia fidata/infida invece è lui. Costretta
per un caso a compiere un viaggio aereo insieme all’aitante e inattaccabile
Roy (Tom Cruise), June (Cameron Diaz) ne rimarrà a traino di lì in avanti,
irretita di passività davanti a un’azione (che è affare dell’altro) ai
limiti estremi della stilizzazione parodica, veloce, grafica e debitamente
esagerata.
L’azione, insomma, è come se scorresse su di un nastro, totalmente separata
e fuori dalla portata della protagonista - la quale però non è una
voyeur, perché le manca il distacco. È lì, invece, sempre nel mezzo
dell’azione senza poterci fare niente. E Mangold è bravissimo nel trovare
questo strano punto di vista impotente eppure in medias res, dentro a
un’azione che non è sua. È un viaggio in macchina senza guidare, sopra a un
camion che trasporta vetture: non è un caso se, verso metà film, i due
protagonisti si trovano esattamente in questa situazione.
Poi la cosa naturalmente si ribalta: è lei che passerà all’azione e lui
all’impotenza. Perché la struttura della situazione e il posto vuoto che
essa lascia affinché il soggetto la occupi si scoprono rigorosamente
intercambiabili, funzioni indifferenti di uno stesso vuoto, perfetto
prolungamento dell’oscillazione della credenza del protagonista (il partner
è una spia o non è una spia?) che marca questo film tanto quanto la sua
matrice hitchcockiana. Essendo intercambiabili, il soggetto può stare dentro
come fuori. E infatti, anziché attaccati dall’aereo come Cary Grant in
aperta campagna in Intrigo
internazionale, i protagonisti stavolta sono sull'aereo che
attacca un ignaro camionista in aperta campagna.
L’azione, insomma, è ridotta a burletta, ma il soggetto non ha tempo per
ridere: è troppo impegnato in uno zigzagante dentro-e-fuori (non era anche
la cifra più riconoscibile di Identity?) tra humour e adrenalina, tra ironia
e serietà, tra l’identità che gli piove addosso senza appartenergli e la
sua.
24:10:2010 |