
Un giornalista americano di colore del
Washington Post (Jackson) e una poetessa bianca sudafricana corrispondente
per una radio (Binoche) vengono inviati alle udienze della Commissione per
la Verità e la Riconciliazione, durante le quali gli autori di torture e
omicidi dell’Apartheid sono invitati a confessare i propri crimini in cambio
di una possibile amnistia. I due, costretti a confrontarsi su posizioni
inizialmente opposte, instaureranno un solido legame.
Boorman comprime una delle vicende più importanti dell’intera storia
africana in un filmetto vecchio stampo, in cui l’evidente schematismo nel
delineare i personaggi, la ripetitività della narrazione, la regia sin
troppo controllata e una storia d’amore pretestuosa inducono a ripensare a
certi prodotti poco smaliziati del passato remoto hollywoodiano.
è apprezzabile il tono sommesso nel descrivere certe atrocità,
l’onestà a non cedere a facili sentimentalismi, che pure sarebbero stati
giustificati, ma da un solido artigiano come lui era legittimo aspettarsi
qualcosa di meglio di un racconto che scivola via senza grossi errori ma
senza neanche grandi sussulti. Tanto più considerando che il rapporto fra
l’individuo e l’ambiente che lo circonda è ciò che il regista americano ha
avuto modo di esprimere meglio, e nelle forme più sfaccettate (Un
tranquillo week-end di paura, La foresta di smeraldo, Oltre Rangoon)
durante la sua ormai lunga carriera. E particolarmente deludenti sono alcuni
momenti topici come il confronto fra il giornalista nero e il crudele capo
della polizia sudafricana, un duello dialettico che lascia inalterati i
contorni dei due personaggi e impedisce al racconto di impennarsi.
Jackson e Binoche svolgono il loro compito professionalmente e certi
paesaggi africani regalano momenti emozionanti che lasciano immaginare
l’ampio respiro che la storia avrebbe dovuto avere. Davvero poco per un film
che si lascia vedere ma certo non desiderare.
Voto: 15/30
07.05.2004
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