la fine è il mio inizio
di Jo Baier
con Bruno Ganz, Elio Germano

di Lara COSTANTINI

 

28/30

 

“Allora, questa è la mia fine ma è anche l’inizio. E l’immagine che mi viene in mente quasi ogni giorno del mio abbondonare il mio corpo è quella di un monaco zen che si siede nel silenzio della sua cella, prende un bel pennello, lo intinge nel mortaio dove ha sparso la china e poi si raccoglie davanti al pezzo di carta di riso e con grande concentrazione fa un cerchio che si chiude. Ma un cerchio, non fatto con il compasso, un cerchio fatto con l’ultimo gesto della mano su questa terra. La vita si conclude”. Chiudere il cerchio è un privilegio di pochi. Appartiene a coloro che, passo dopo passo, risolvendo il proprio conflitto, riescono a capire chi sono.
Tiziano Terzani, scomparso nel luglio del 2004, era uno di questi. Profondamente fiorentino, instancabile viaggiatore, giornalista e scrittore, inviato per Der Spiegel in Asia, dove vive per trent’anni con la moglie Angela e i figli Folco e Saskia, autore di memorabili pezzi per Il Corriere della Sera, La Repubblica e L’Espresso, lascia a un pubblico sempre più vasto la sua eredità di idee nel libro-testamento "La Fine è il mio Inizio" (Longanesi, 2006), di cui Folco cura l’edizione ricomponendo in punti tematici la registrazione della lunga intervista a suo padre.
Nel 2010 il bestseller diventa un film che in Germania, ad ottobre, registra ben 230mila spettatori: regia di Jo Baier, sceneggiatura dello stesso Folco e del produttore Ulrich Limmer, musiche di Ludovico Einaudi. Per la distribuzione nelle sale italiane ci pensa Fandango con 60 copie il 1 Aprile 2011, che diventano 100 nel giro di una sola settimana.
Eluso il pericolo di scadere nella new age e lontano da qualsiasi intento celebrativo, il film è una chiave per comunicare con il pubblico offrendo una riflessione sulla vita; basato sulla grandezza della storia e giocato sulla forza della parola, restituisce allo spettatore un dialogo puro, tra un padre e un figlio, tra Tiziano (Bruno Ganz) e Folco (Elio Germano).
Un lavoro assolutamente semplice nell’accezione più alta del termine, in perfetta linea col pensiero di Terzani, che non amava essere definito un intellettuale poiché gli intellettuali rendono sempre complicato ciò che è semplice. Lui era uno fisico, colpito dall’immensità della natura, colpito dal maggiolino che, sul crinale dell’Himalaya, davanti a un oceano di montagne, parte verso l’infinito con sotto un precipizio di centinaia di metri. “Bisognava fondere le due Himalaya cercando di esplorare i confini del possibile nel reale”, ci racconta Folco in conferenza stampa il 25 marzo.
“Terribilmente affaticato, ma serenissimo”, Terzani sceglie di morire immerso nella quiete dell’Orsigna, l’altra Himalaya, quella scoperta da suo padre nell’Appenino pistoiese, avvolto dall’amore di sua moglie Angela (Erika Pluhar), compagna di una vita intera, di Folco e suo figlio Novi (Nicolò Fitz-William Lay), di Saskia (Andrea Osvart) con il neonato Niccolò.
“Voglio morire ridendo. Se poi tutto diventa difficile e impossibile faremo una risata più breve e ti saluto”. La sua famiglia accompagna lui, accogliendone le volontà, e lui accompagna loro nel distacco da un corpo, che ormai fa quello che gli pare e acqua da tutte le parti, destinato a disfarsi.
La ricerca della verità, prima la verità dei fatti e poi la verità dietro ai fatti, cara davvero a Terzani, è stata rispettata in pieno per la realizzazione del film così, nonostante lo staff della produzione per sei settimane abbia cercato altrove, la vallata dell’Orsigna con il suo silenzio e l’atmosfera di casa Terzani, proprio perché autentiche, si sono rivelate l’unico luogo giusto per poter girare. Per l’operatrice delle riprese Judith Kaufmann, la cosa più importante era entrare dentro la storia per potere rispettare il tema centrale del film: rimanere fedeli a se stessi.
Non poteva essere altrimenti. L’altro, enorme, atto di condivisione è stato mostrare come muore Tiziano nella sua gompa tra i grandi castagni, nella sua scatola di legno colorata dove le energie non si disperdono, con accanto Angela.
“Io sono stato tante cose, ma alla fine non sono nessuno”, dice Terzani che è stato tante maschere, come tutti: un narratore leggendario e un pacifista incazzato, un padre ingombrante, con la coscienza di esserlo e un marito che, da subito, accetti o non accetti. La sfida per Angela Staude Terzani era “non soccombere perché le vittime sono insopportabili”. Un uomo che si è esposto sempre attirando anche critiche, io direi, violente.
Per Libero e Il Giornale, e per alcuni infuocati bloggisti pro-Fallaci post 11 settembre (siamo ai tempi delle Lettere contro la guerra e in particolare della lettera intitolata “Il sultano e san Francesco” scritta da Terzani in risposta a “La rabbia e l’orgoglio” della sua famosa concittadina, quando in molti ci siamo chiesti dove fosse finita quella ragazza incredibile che nel ’68 firmava dal Vietnam eccezionali articoli per L’Europeo), è da mettere infatti nella schiera degli incendiari diventati facoltosi pompieri, un seperstizioso che si affida agli indovini, un opportunista che prima ama Mao e Pol Pot e poi rinnega un’intera ideologia, un guru che fa proseliti, un esponente della sinistra chic che si veste all’indiana.
Per Ettore Mo invece, classe 1932, in uno splendido articolo apparso sul Corriere della Sera il 30 luglio 2004, Tiziano sarà sempre quello che porta in salvo i feriti sulle spalle, un neopellegrino come Valerio Pellizzari, Bernardo Valli, Ryszard Kapusciwski che, direbbe Egisto Corradi, aveva consumato le suole delle scarpe per vedere il mondo e raccontarlo.
“Se lui avesse trascorso la sua vita qui, se mi avesse raccontato come aveva cercato funghi o come aveva portato le pecore ai pascoli tra i monti, e da queste storie avesse tratto quelle sue conclusioni, per me - per Folco - sarebbe stato lo stesso. Saigon o le pecore non fa alcuna differenza”.
 

08:05:2011

la fine è il mio inizio

Regia Jo Baier
Italia / Germania 2010, 98'

DUI: 01/04/2011

Biografico