Regina del punk da salotto, la Figlia Di
Dario (F.D.D.) fa "film" in preda a impulsi fisiopsicologici, senza un'
idea vaga di cinema.
Inganna se stessa, prima di tutto, e delude i suoi fans ("decéption", in
francese, vale sia per "inganno" che per "delusione") e, unica ragione
per cui siamo qui a parlarne, i ben più numerosi estimatori di J T
LEROY.
Noi, ahimè, non siamo fra i primi, ma solo tra questi ultimi: SCARLET
DIVA, infatti, ci aveva fatto innamorare di un particolare tasto del
telecomando del videoregistratore, sul quale siamo poi ritornati anche
in occasione di RED SIREN o LOVE BITES, dove A.A. era solo attrice,
mentre abbiamo passato una notte insonne a divorare SARAH.
Il film è sommamente ingannevole, perché tradisce innanzitutto la
scrittura del platinotruccato James: tutta dialogo interiore,
impressionistica e in continuo loop da reinvenzione del linguaggio
QUESTA, tutto epidermicamente estetizzante (il design della disperazione
!) e visivamente convenzionalmente "alternativo" QUELLO.
Non ci stupisce leggere che A.A./F.D.D. si chiudeva col riscaldamento
acceso in macchina per girare certe scene di DECEITFUL, alla ricerca di
un estraniamento posticcio, di "bad vibrations" coatte che non fanno
parte del suo dna.
Basta osservare il modo in cui caracolla sui tacchi - lei, 30enne,
dovrebbe tra l' altro impersonare una 23enne - o storce il naso e muove
la bocca: è la caricatura di una personalità estrema e sofferta, il
raggiro disonesto portato avanti da una persona baciata dalla fortuna e
lontana anni luce dalle
esperienzevissute dal baby-Leroy (abbandoni/ stupri/ dipendenze/
solitudini).
Il percorso di vita dello scrittore americano è l' assoluto "inverso" di
quello di A.A. : dopo l' orrore, costruisce col talento una seconda vita
e fa di tutto per auto-occultarsi, nascondersi, defilarsi.
Lei, Nostra Signora Del Dark, viene da genitori e nonni stranoti e
benissimostanti, ma ciò che l' attira è, appunto, l' aspetto esteriore
della disperazione, l' estetica della diversità, il LOOK del vivere
borderline.
Il padre la fa lavorare a partire dai 9 anni di età, passa attraverso i
Moretti e i Placido, viene usata da Dario più e più volte (sino ai piani
ravvicinati del sedere in IL FANTASMA DELL' OPERA...), poi decide di
"dirigere" film e videoclip.
Appare su tutte le riviste possibili e immaginabili, invece di
nascondersi produce un' inutile ipertrofia mediatica di sé.
Oggi sembra messa un po' peggio della sua musa ispiratrice (JTL).
Fedele alla filosofia verdoniana del "o famo strano" a tutti i costi,
A.A. non crede di dovere modestamente mettersi a studiare cinema, ma
ritiene di poter continuare a parlare a voce alta anche con una m.d.p.
in mano, chiamando a raccolta altra gente che si è fatta da sola (lo
stesso Marilyn Manson: lui c'è, non ci fa) o altri personaggi attirati
dal suo altissimosonante cognome.
Prima, aveva pure tentato di ottenere il certificato da parte del Dogme
vontrieriano (!!!!!), puntualmente negatole.
Non è comunque il caso d' infierire, perché DECEITFUL parla da solo: non
esiste una narrazione, ma solo grumi d' immagini scollegate tra loro e
giustapposte ad una selezione arbitraria del testo leroyano. Si procede
per accostamenti di questi "segmenti" non-narrativi, privi anche di
qualsiasi eventuale appeal da videoclip, perché A.A. non ne possiede l'
art and craft.
Come si diceva, i personaggi transitano sullo schermo come in una
sfilata di moda, orizzontalmente e bidimensionalmente. Indossano la
lingérie dell' abbandono e l' haute couture della violenza domestica. Si
travestono da underdog, ma non trasmettono "one inch of bad feelings",
che non siano quelli strettamente legati alla fruizione - soffertissima
- del film.
A.A., tra l'altro, recita piuttosto male anche dove non dovrebbe fare
troppo la parodia della mamma cattiva, ma essere se stessa (è impacciata
e "fake" anche mentre mangia da un "trash-can"), oltre a doppiarsi in
maniera veramente terribile !
Ne sia prova il fatto che tutti gli altri attori riescono meglio di lei,
inclusi il brasato Peter (af)Fonda e la cotta Wynona Eazy-Ryder.
Ma la colpa maggiore sta nell' insistita superficialità nel trattare
Jeremiah/James, che procede attraverso bruttissime esperienze con
sguardo ebete e massima sopportazione, perché sa che è tutto finto.
La m.d.p. si preoccupa di dettagli insignificanti (ancora: tutti legati
al decor del Male), come i forzatamente trasandati arredi di
qualsivoglia ambiente percorso da madre e figlio in perenne spostamento
sulle highways americane.
Tutto il senso del racconto leroyano è tenuto fuori campo: persino nei
parcheggi degli autogrill - i topoi per eccellenza del racconto di JTL -
nulla di significativo accade. Per non dire della redenzione coatta di
Jeremiah traslocato da nonna Muti in una specie di sanatorio
puritanintegralista per anime perse, dove il bimbo dovrebbe essere
rieducato.
E' il momento peggiore del film: risulta, infatti, insopportabile,
infantile, ridicolo tutto l' apparato di arredo religioso che dovrebbe
terrorizzare il piccolo. Crocifissi a go go, teschietti in primo piano,
cinghie punitive e frasario da oratorio di provincia non rendono l' idea
del senso di oppressione vissuto dal piccolo abbandonato, ma, once more,
sono carta da parati per una struttura inesistente.
"Hai imparato i Salmi della Bibbia, Jeremiah?", fa l' imbalsamato Peter
Fonda: "No, però conosco una canzone: I AM AN ANARCHIST, I AM AN
ANTICHRIST...".
E' questo il senso dell' essere alternativi?
Si contesta così un' educazione non richiesta ?
A.A. è altissimamente convenzionale nell' illusione di contestare un
apparato -esteriore - di segni e contrassegni in cui il Sistema
(sociale, religioso e quant' altro) si incarnerebbe, affidandosi a frasi
fatte e pose improbabili da punk da salotto, ut dicebatur.
Sorvoliamo su altri capitoli (pessima l' ellissi durante lo stupro da
parte di Manson, con la "sovrapposizione" della madre nei confronti del
figlio) o sulla gratuità di certe citazioni larryclarkiane o vansantiane
tirate per i capelli (i cieli blu stellati, le velocizzazioni, la
fotografia sciccosa etc).
Il film è una parodia di quello che avrebbe dovuto essere, una farsa
cantata in coro, una raccolta di effetti personali di "diversi" e
"alternativi" fatta al
mercatino sotto casa e portata in scena, un collage di scene
giustapposte, che dal semplice accostamento non traggono materia per
aumentare il loro
significato, una teoria infinita di frasi fatte infinitamente lontane
dal testo di Leroy, un rosario di idee abortite in disperata ricerca di
un centro che non c'è. Dalla scena dell' "incendio" in poi non abbiamo
resistito e il film è imploso in maniera sacrosanta nella nostra mente.
Voto: 07/30
30:03:2005 |