Dopo Capote di Bennet Miller
il cinema americano aveva proprio bisogno di un’altra biografia su una
celebrità dei salotti newyorkesi della metà del ‘900? E, supponendo che ne
avesse bisogno, quale il motivo di questo doppione a distanza ravvicinata?
Evidentemente anche la Warner Bros ha voluto creare la sua versione del
personaggio di Truman Capote e dell’aneddotica che ruota attorno al suo
best-seller del 1966 “In Cold Blood”. Il nucleo della vicenda resta
pressoché invariato: durante le ricerche per la stesura del suo romanzo, lo
scrittore Truman Capote (Jones) sviluppa una stretta relazione con gli
assassini detenuti Dick Hickock e Perry Smith. La diegesi, fatto salvo per
poche differenze, si sviluppa pressoché in parallelo con la versione di
Miller. Ma diversamente dalla piccola produzione di
Capote, quella di
Infamous è chiaramente
un’operazione commerciale di una grande casa di produzione, anche se
distribuito da un’improbabilmente indipendente “Warner Independent
Pictures”. Del resto il cast parla per sé, includendo Toby Jones, Sandra
Bullock, Daniel Craig, Lee Pace, Peter Bogdanovich, Jeff Daniels, Hope
Davis, Gwyneth Paltrow, Isabella Rossellini, Juliet Stevenson, and Sigourney
Weaver.
Posto che il paragone tra Infamous
e Capote è inevitabile, e
posto che il plot e la diegesi restano pressoché invariati, in cosa il
lavoro di MacGrath si vuole distinguere dal suo precedente?
A partire dal diverso approccio dell’interpretazione del protagonista – Toby
Jones vs. Phillip Seymour Hoffman – la differenza sembra stare nel
registro di stile, volutamente giocato su una serie di opposizioni in
parallelo sulla base dello stesso canovaccio. Il Truman Capote di Toby Jones
è sarcastico, buffo, sicuramente più stereotipato rispetto alla versione
emozionalmente risonante e dalla psicologia più intrigante interpretato da
Phillip Seymour Hoffman. Infamous
nel complesso si presenta come una versione semplificata in chiave
sunny-light-comica di Capote.
La differenza è evidente innanzitutto dalla luce: le inquadrature calde e
gli spicchi di sole che si concede ampiamente
Infamous si oppongono ai colori freddi di
Capote, come il registro ai
limiti del demenziale del primo si differenzia da quello evidentemente
drammatizzante del secondo. La serie di aneddoti della vita di Truman si
ripetono qui quasi invariati salvo alcuni aggiustamenti. Tra questi possiamo
identificare la collaborazione di entrambi gli assassini con Truman, il
pegno monetario in cambio della collaborazione, il legame di Truman con
entrambi gli assassini. Queste differenze sembrano essere riconducibili a
uno sforzo di semplificazione e alla volontà di non lasciare ambiguità o
irrisolti. Da questo punto di vista in particolare emerge un’esplicitazione
dell’omosessualità di Perry che era rimasta invece solamente abbozzata in
Capote. La relazione tra
questo e Truman viene di conseguenza resa in termini più stretti. In questo
senso va letto anche l’adattamento della figura della madre di Truman,
abbassata di rango e censo per insistere sull’affinità elettiva tra lo
scrittore e il detenuto.
Per concludere possiamo considerare lo sviluppo del tema dell’assenza di
senso dell’omicidio, che se era stata lasciata irrisolta in
Capote, viene qui ricondotta
all’omosessualità di Perry e portato a compimento con la chiosa “leaving in
jail is not bad if you note the world outside, neither is death, if you
don’t like to live”.
Per soddisfare la curiosità degli scrittori emergenti rispetto alla figura
di Truman Capote, senza rischi di eccessivo coinvolgimento emotivo,
Infamous può essere una
valida alternativa al più emozionalmente intriso
Capote, ciò non toglie che il
sapore che rimane è insipido; senza infamia, ma anche senza lode.
Voto: 24/30
09:09:2006
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