Quando tra il 1956 e il 1959 scrive L’ILLUSIONISTA, Jaques
Tati sa bene di essere lontano dalle disavventure del suo Monsieur Hulot e
di fronte a un soggetto troppo serio, intimo e personale, che la critica
dell’epoca probabilmente avrebbe subito stroncato, come non tarda a fare con
PLAY TIME (1967).
Per cinquant’anni questa sceneggiatura mai prodotta rimane catalogata presso
gli archivi del Centre National de la Cinématographie sotto l’anonimo nome
di “Film Tati N° 4” finché Sylvain Chomet non incontra Sophie Tatischeff,
figlia dell’icona del cinema francese. Allora quella lettera d’amore di un
padre ad una figlia prende forma, colore, suono. Le strade dell’anziano
illusionista e della giovane Alice si incrociano. Due creature e due destini
in viaggio. Come per magia, l’inconfondibile gestualità e la straordinaria
eleganza di Tati rivivono per 80’ nel nuovo capolavoro d’animazione di
Chomet (uscito in Inghilterra subito dopo la Francia, dal 29 ottobre
distribuito dalla Sacher nelle sale italiane e atteso in America a dicembre
come il film di Natale).
Tati è già presente nei panni del postino in bicicletta nel pluripremiato
APPUNTAMENTO A BELLEVILLE (2003), definito da Le Figaro “un petit bijou de
fantaisie”, dove le Triplettes Violette, Blanche e Rose, in tema con lo
spirito da Tour de France, si gustano in televisione GIORNO DI FESTA (1949).
Contattata la Fondazione Tati, non solo l’erede Sophie concede
l’autorizzazione all’uso dell’estratto del film, ma propone un progetto da
realizzare insieme poiché trova un punto comune tra lo stile di Chomet e
quello di suo padre. Arrivato a Roma direttamente in macchina dalla Francia
lo scorso 21 ottobre per la conferenza stampa a Palazzo Farnese e per la
presentazione della seconda edizione di France Odeon, la 50 Giorni di Cinema
Internazionale di Firenze, Sylvain Chomet ci racconta entusiasta
dell’incontro con il mondo di Tati, della possibilità di entrarci dentro e
di combinare le due visioni poetiche.
L’unico grande cambiamento rispetto alla sceneggiatura originale riguarda il
luogo. La città magica per Chomet non è Praga, ma Edimburgo così la versione
animata si svolge tra Parigi e la Scozia. “Ho bisogno di assorbire il
luogo”: Chomet viveva a Montreal al tempo della realizzazione di
APPUNTAMENTO A BELLEVILLE, poi si innamora perdutamente di Edimburgo e dei
paesaggi scozzesi, resi insieme a quelli tipicamente urbani, di Parigi ad
esempio, in 3D. Tutto il resto è dato dalla forza vibrante del tratto e dal
fascino del disegno, dall’imperfezione dell’elemento umano mai uguale, dal
senso del ritmo e dei colori che la musica accompagna costantemente.
“Dopo la lettura della sceneggiatura le emozioni furono così forti e
personali che non potevo affidare la composizione musicale ad altri”, come
accade in BELLEVILLE con le musiche di Ben Charest. Qui è lo stesso Chomet a
comporre perché la musica è parte integrante dell’animazione e “l’animazione
è la musica dell’immagine”. Non è un caso che la maggior degli animatori
siano anche musicisti e che sul finale si possa ascoltare il battito del
cuore della storia. Sì, la sensibilità di Chomet ha fatto rinascere Tati.
08:11:2010 |