La giovane Mattie Ross (Hailee Steinfeld) determinata a
vendicare la morte del padre, coinvolge uno sceriffo dal grilletto facile,
ubriacone e sulla via del declino, Rooster Cogburn (Jeff Bridges) nella
ricerca dell'assassino, fuggito fra i boschi del territorio indiano. Insieme
a loro due il giovane avventuriero LaBoeuf (Matt Damon). Il viaggio alla
ricerca del nemico rappresenterà il passaggio dall'infanzia all'età adulta
per la ragazza, la disillusione per il giovane Texas Ranger, l'ultima
avventura prima della senilità per il vecchio sceriffo. Ricordiamo inoltre
che il film è tratto dal romanzo di Charles Portis "True Grit", oggi
riproposto in ristampa con lo stesso titolo del film, di cui fu fatta una
versione con protagonista John Wayne che per l'interpretazione vinse
l'oscar.
In generale parto con una premessa. Adoro il Western, Jeff Bridges è uno dei
miei attori preferiti e i fratelli Coen sono fra i cineasti più intelligenti
sulla piazza. In due parole quindi dico che secondo me abbiamo sfiorato il
capolavoro.
Quello che i fratelli Coen hanno realizzato con la loro ultima fatica è una
storia che oscilla fra il romanzo di formazione e il viaggio verso la morte
e non è per nulla un remake della pellicola con Wayne.
Fra tutti i generi cinematografici, il western è quello che più di ogni
altro il cinema lo rappresenta semanticamente
Sulla sua frontiera l'America ci ha costruito tutta la sua epica e la sua
personalità. Non attraverso la storia del west, ma attraverso la sua
continua raffigurazione . Gli Stati uniti hanno costruito il proprio passato
ragionando continuamente sulla autorappresentazione del proprio mito della
frontiera piuttosto che sui documenti, gli scavi, gli studi storici. Questo
è uno dei motivi per cui l'America e il cinema poggiano i piedi sulle stesse
fondamenta, quelle dell'immaginario.
Non importa la verità nel cinema, importa l'idea di verità che noi diamo,
l'universo che riusciamo a ricreare e nelle cui pieghe nascoste il mondo
acquista un senso più luminoso, più profondo. Il sogno ci rivela qualcosa di
noi stessi che nessun altro sistema poterebbe darci.
Ecco perché il western è per me il Cinema per eccellenza, il genere più
vicino alla forma primigenia della settima arte. Non la ricerca della
verità, ma la ricerca della immagine che vogliamo dare al mondo.
I fratelli Coen insieme a De Palma hanno costruito un percorso assoluto in
questo senso, una sorta di continua auto-psicanalisi del cinema stesso. Ma
il genere in questione mette i grandi autori in atteggiamento di rispetto e
anche i Coen non fanno distinzione e si cimentano in un film molto sobrio
per il loro canoni, in cui i movimenti di macchina, la ricerca sul
linguaggio, il lavoro degli attori, il percorso narrativo, rimangono
fortemente al servizio della storia e i nostri autori tengono le briglie
strette. L'ironia dei loro altri film qui appare più contenuta, anche se fa
capolino spesso. C'è la volontà di ragionare sull'epica ma allo stesso tempo
nulla è preso davvero tanto sul serio. Un equilibrio difficile ma riuscito
in cui uno degli attori più grandi di questo pianeta, Jeff Bridges, da vita
ad un personaggio straordinario, davvero in grado di contendere lo scettro
al cowboy per eccellenza, quel John Wayne di cui è difficile levare il
ricordo.
Ma Bridges porta una postura, una carica di disillusione ed attaccamento al
dovere che lo rende unico. Dentro di lui c'è tutto quello che amiamo del
mito americano. Attraverso di lui riscopriamo cosa di questa nazione audace,
aggressiva, rapace, problematica, invadente, romantica, continua ad
affascinarci. Fra parentesi, il film in lingua originale regala al
personaggio di Rooster Cogburn una parlata unica, in cui leggiamo tutto il
Sud dei confederati. Una parlata stretta e orgogliosa, appesantita dal
Whiskey e da una vita passata con la pistola sotto il cuscino. Questo film è
anche un ragionamento sul linguaggio, sulla cadenza delle parole e degli
accenti. Texas, Arkansas, Missouri, Virginia prendono vita attraverso la
musicalità del linguaggio che li contraddistingue, in una parodia dei generi
e dei caratteri che non sfiorano mai nel ridicolo se non per un leggero
senso di piacevolezza che ci lascia il sorriso nell'ascoltare queste
parlate. La comicità che ognuno di noi può portare senza che per questo si
perda la dignità.
Nel film tutti hanno una personalità ben nascosta sotto la giacca che
portano. I cattivi hanno un'etica, i buoni sono anche codardi, i soldi non
sono sempre così importanti e la parola data ha valore fino a che ha valore.
L'unico momento in cui ogni testa si piega è la deferenza verso la morte,
compagna di viaggio dei nostri eroi, parte del panorama e degli avvenimenti,
forse la vera protagonista della storia. Del resto il viaggio della nostra
Mattie Ross, meravigliosamente interpretata dalla giovane quattordicenne
Steinfeld, inizia con l'incipit della morte, quella del padre, prosegue con
un processo per omicidio, continua in un territorio in cui la morte è parte
del paesaggio, materiale di scambio, inaspettato ospite nella notte fino a..
beh, ma a questo punto non si può più raccontare.
Andate a vedere questo film, e di nuovo vi ricorderete perché anche il cuore
più arido ama i cowboy solitari che se ne vanno verso il sole che tramonta
mentre la musica si alza verso i titoli di testa.
13:03:2011 |