Il divo

di Paolo Sorrentino

con Toni Servillo, Anna Bonaiuto
Altri intepreti: Flavio Bucci, Giulio Bosetti

di Valentina VELLUCCI

 

30/30

 

Alberoni a cavallo del ’68 scriveva “ Sta prendendo piede in Italia una nuova figura di potere. Una figura che ha potere ma non ha alcuna responsabilità sociale di fronte alla nazione. Questo è il divo…”.
Non c’è forse migliore pensiero per descrivere il concetto di divismo: divo può dirsi infatti colui che assume comportamenti eccessivi, molesti e spesso contrari alla legge. Il buon costume non esiste per un divo: e proprio per questo è amato e rispettato. Il divo è venerato.
Il mondo arranca a stargli dietro.. e quando a un divo viene chiesta la resa dei conti, l’assumersi delle responsabilità, la folla non vuole. Perché altrimenti non sarebbe più un divo se si assumesse delle responsabilità. Così il divo rimane immobile, fermo. Pare quasi non si sia mai mosso e che tutti i polveroni li abbiano sollevati gli altri.
Forse è per questo che per raccontare Andreotti, o meglio il suo mito, si è scelto proprio questo titolo: IL DIVO.
Se Andreotti fosse stato solo un attore, grazie al suo carisma e alla sua apparente immobilità, sarebbe stato di sicuro il divo per eccellenza. Corrisponde di fatti, punto per punto, alla corrente prima descritta del divismo. Non è stato un attore, o per lo meno non doveva essere questa la sua attività: è stato il sette volte Presidente del Consiglio Italiano, candidato alla Presidenza della Repubblica, il “Papa Nero”, “l’uomo più perseguitato della storia”, o forse il più grande millantatore della storia. Comunque ci si voglia appellare, Giulio Andreotti ha ricoperto le più alte cariche dello Stato, ha rappresentato l’Italia e per questo anche la sua moralità: per questo la storia e il cinema non possono permettergli di uscire senza memoria dalla sua stessa vita.
Sorrentino più che raccontare Andreotti, ha messo in scena una maschera. Una vera e propria maschera: nel senso più teatrale che possiamo dargli. Una maschera immobile, o per lo meno apparentemente immobile, che non guarda. Parla con le mani. Una maschera che quando strabuzza gli occhi immerge il suo interlocutore nel dubbio: nessuno sa cosa sta per accadere quando “la Maschera” sgrana gli occhi.
Tutto è un palco: i palazzi del potere, i balli, le feste, le corse dei cavalli. Gli omicidi invece no, vengono consumati in un silenzio privato. Sono brutalmente reali: visti e rivisti da angolazioni sempre più irreali. Le morti, i suicidi: tutto il sangue che mette in scena Sorrentino passa per la musica estraniante di Teho Teardo. Una musica che all’inizio disturba, quasi ferisce. Così elettronica, così pulsante di vita in rapporto a quei corpi, a quei cadaveri eccellenti rimasti a guardia di segreti e pietre tombali.
Una colonna sonora ambiziosa, una scelta audace ma riuscita che sottolinea maggiormente la messa in scena del Divo: attorno a lui tutto accade, ma lui non sa. Non ricorda mai il Divo, non poteva saperle certe cose. Perché il Divo in quanto tale deve essere immobile: sono gli altri che cercano di raggiungerlo.
Uno spettacolo in cui nessuno riesce davvero ad accusare Andreotti, a renderlo colpevole di fronte a se stesso. Badalamenti, Balduccio di Maggio: molti ci provano. Ma il Divo Giulio rimane sempre lì, immobile. Con la sua maschera che lo avvolge: con quelle spalle curve e le orecchie piegate. Con quella maschera che non è solo la maschera di Andreotti, ma la Maschera foucaultiana del Potere.
Tony Servillo svuota di ogni pretesa polemica il suo personaggio per farne un creazione a metà fra un burattinaio inconscio e il filo rosso e inviolabile del destino. Un uomo che pare dare espressione al suo volto solo per le forti emicranie che lo tormentano. Nemmeno i gesti d’affetto con la moglie (interpretata dalla brillante Anna Bonaiuto ), possono nulla contro le sue spalle curve e rigide.
L’opera di Servillo, che tanto calore ha ricevuto a Cannes (diversa dall’ “accoglienza tiepida” raccontata da Maria Rosa Mancuso) ha degnamente meritato quasi dieci minuti di applausi e il Premio della Giuria. Il divo piace ma allo stesso tempo spaventa, per la natura subdola e grottesca che presenta. Un perpetrare il male per difendere il bene comune. Una scusa ormai vecchia che da troppe Repubbliche muove i facinorosi ingranaggi dell’Italia.
 

02:06:2008

il divo
di Paolo Sorrentino
Italia 2008, 110'
DUI: 28 maggio 2008
Biografico