Le rigide frapposizioni ideologiche, pilastri del mondo che
c’era, filiazioni più o meno esplicite della dialettica manichea Bene-Male,
vengono sconfitte, in quest’epoca postuma, dall’interscambiabilità dei
termini antinomici e dalla loro triste e definitiva coincidentia.
Il buono è anche cattivo, il pulito si macchia di sporco e
sempre più rare sono le tracce di una resistenza pura, di una coerenza
valoriale radicata e forte.
The Ides Of March, film
inaugurale della 68° Mostra del Cinema di Venezia, è una lucida descrizione
dei malati meccanismi che dominano la società postmoderna: l’evidenza
microscopica di guaste vicende politiche offre in realtà il pretesto per
raccontare la corruttibilità della natura umana e la sua ormai disorientata
andatura.
Alla sua quarta regia, Clooney sceglie questa volta una storia di connivenze
e infedeltà, di marcia ideologia e impudente demagogia, rivisitando la già
famosa pièce teatrale Farraguth North di Beau Willimon (co-sceneggiatore del
film insieme a Grant Heslov).
Il giovane e ambizioso guru della comunicazione Stephen Meyers (Ryan
Gosling), legato alle sorti del candidato alla presidenza del partito
democratico per il quale lavora, Mike Morris (George Clooney), viene
coinvolto in un brutale e sporco gioco di potere, che lo porterà ad
abbandonare il suo fervente idealismo e lo indurrà necessariamente verso il
più brutale e fatale cinismo.
Una storia di cospirazioni e ambiguità, che richiama, prima di tutto col
titolo, intrighi di shakespeariana memoria (Giulio Cesare). Ma una storia,
quella del film, che emblematizza anche gli odierni attributi dell’atto
comunicativo. In un’era in cui il medium assume un il ruolo egemonico
surclassando il messaggio che diventa vuoto denotativo, l’ideologia, il
credo, i valori diventano scomodi e deboli rispetto alla forza del mezzo.
“Massaggiare il messaggio”: la manipolazione della verità è rappresentata,
ancora una volta al cinema - ricordando tra tutti lo straordinario
Sesso e Potere -
dall’attività di spin doctoring.
Il mezzo stesso diventa lo scopo utile a confermare i propri
vuoti propositi.
E così ognuno rincorre se stesso in un gioco di egocentrici egoismi.
Nel film domina l’indecidibilità riguardo alla vera natura di ogni singolo
personaggio.
Tutti sono buoni o tutti improvvisamente corrotti, in una coreografia di
luci e ombre che la fotografia tende a mettere in rilievo costantemente.
La sintassi del film è lineare e contenuta, predisposta alla narrazione.
Un thriller politico “non politicizzato”, come lo definisce lo stesso
Clooney: essere democratico e repubblicano non fa differenza, è l’ambizione
che muove gli intenti.
Una visione tendenzialmente pessimistica, riscattata unicamente dal
personaggio di Paul Zara (interpretato, come sempre sorprendentemente, da
Philip Seymour Hoffman) che, a discapito della carriera, rimane ancorato ad
un timido ma resistente barlume di lealtà.
Nel cast anche lo straordinario Paul Giamatti (Tom Duffy) e la bella Evan
Rachel Wood (Molly Stearns).
Il film convince la stampa e il pubblico veneziano e afferma in più
direzioni la volontà, da parte del poliedrico Clooney, di ambire ad un
cinema impegnato, pur sempre sotto l’egida di un’indiscussa dimensione
commerciale.
02:09:2011 |