the ides of march

di George Clooney

con Ryan Gosling, George Clooney, Paul Giamatti
e con Philip S. Hoffman, Marisa Tomei, Evan R. Wood

 

 

27/30

 

Le rigide frapposizioni ideologiche, pilastri del mondo che c’era, filiazioni più o meno esplicite della dialettica manichea Bene-Male, vengono sconfitte, in quest’epoca postuma, dall’interscambiabilità dei termini antinomici e dalla loro triste e definitiva coincidentia.

Il buono è anche cattivo, il pulito si macchia di sporco e sempre più rare sono le tracce di una resistenza pura, di una coerenza valoriale radicata e forte.
The Ides Of March, film inaugurale della 68° Mostra del Cinema di Venezia, è una lucida descrizione dei malati meccanismi che dominano la società postmoderna: l’evidenza microscopica di guaste vicende politiche offre in realtà il pretesto per raccontare la corruttibilità della natura umana e la sua ormai disorientata andatura.
Alla sua quarta regia, Clooney sceglie questa volta una storia di connivenze e infedeltà, di marcia ideologia e impudente demagogia, rivisitando la già famosa pièce teatrale Farraguth North di Beau Willimon (co-sceneggiatore del film insieme a Grant Heslov).
Il giovane e ambizioso guru della comunicazione Stephen Meyers (Ryan Gosling), legato alle sorti del candidato alla presidenza del partito democratico per il quale lavora, Mike Morris (George Clooney), viene coinvolto in un brutale e sporco gioco di potere, che lo porterà ad abbandonare il suo fervente idealismo e lo indurrà necessariamente verso il più brutale e fatale cinismo.
Una storia di cospirazioni e ambiguità, che richiama, prima di tutto col titolo, intrighi di shakespeariana memoria (Giulio Cesare). Ma una storia, quella del film, che emblematizza anche gli odierni attributi dell’atto comunicativo. In un’era in cui il medium assume un il ruolo egemonico surclassando il messaggio che diventa vuoto denotativo, l’ideologia, il credo, i valori diventano scomodi e deboli rispetto alla forza del mezzo. “Massaggiare il messaggio”: la manipolazione della verità è rappresentata, ancora una volta al cinema - ricordando tra tutti lo straordinario Sesso e Potere - dall’attività di spin doctoring.

Il mezzo stesso diventa lo scopo utile a confermare i propri vuoti propositi.
E così ognuno rincorre se stesso in un gioco di egocentrici egoismi.
Nel film domina l’indecidibilità riguardo alla vera natura di ogni singolo personaggio.
Tutti sono buoni o tutti improvvisamente corrotti, in una coreografia di luci e ombre che la fotografia tende a mettere in rilievo costantemente.
La sintassi del film è lineare e contenuta, predisposta alla narrazione.
Un thriller politico “non politicizzato”, come lo definisce lo stesso Clooney: essere democratico e repubblicano non fa differenza, è l’ambizione che muove gli intenti.
Una visione tendenzialmente pessimistica, riscattata unicamente dal personaggio di Paul Zara (interpretato, come sempre sorprendentemente, da Philip Seymour Hoffman) che, a discapito della carriera, rimane ancorato ad un timido ma resistente barlume di lealtà.
Nel cast anche lo straordinario Paul Giamatti (Tom Duffy) e la bella Evan Rachel Wood (Molly Stearns).
Il film convince la stampa e il pubblico veneziano e afferma in più direzioni la volontà, da parte del poliedrico Clooney, di ambire ad un cinema impegnato, pur sempre sotto l’egida di un’indiscussa dimensione commerciale.
 

02:09:2011