
Dogma, Michael Haneke e altre crudeltà possono, come spesso accade
nel cinema, generare una prole degenere, che delle proprie origini conserva
a malapena la memoria. Il fastidio provato al termine della proiezione
veneziana di Hundstage è tale perché nasce dalla certezza
di aver assistito al peggiore dei peccati artistici: l'autorialità
preconfezionata, per giunta in coppia con l'adesione acritica ad una tendenza.
Una realtà umana allo sfascio nella calda e desolante periferia
viennese di oggi, dove non dominano amore e serenità, ma violenza
e ipermercati con aria condizionata. E' questo l'orrendo mondo di Ulrich
Seidl: sei storie unite dal disastro esistenziale e dal caldo più
soffocante dell'anno. Un'idea, dunque, non certo allegra, ma non per questo
priva, almeno in potenza, di interesse. E invece, fin dai primissimi minuti,
si avverte con forza il principale torto di questo film austriaco, che
- come dicevamo - vorrebbe rifarsi al contempo al Von Trier di IDIOTI
e alla glaciale violenza del conterraneo Michael Haneke (FUNNY GAMES):
la mancanza di misura (intesa anche in senso puramente cronometrico).
Quasi tutti i sei personaggi principali - ognuno vive la sua storia, e
l'intreccio tra le vite è solo marginale - sono scritti e recitati
con l'evidente desiderio di risultare sgradevoli, con il solo risultato
di superare i termini della plausibilità cinematografica (nella
vita, per carità, succederà anche di peggio, non lo mettiamo
in dubbio). La rappresentazione non insistita di esistenze a tal punto
sfasciate poteva essere sufficiente, mentre il registro scelto - specie
quando questi esseri divengono elementi di nature morte suburbane, assolutamente
risibili (gente che si consuma al sole accanto alla parabola satellitare
o che trascorre il pomeriggio in compagnia di una betoniera del tutto
estemporanea) - produce quella fastidiosa sensazione da documentario posticcio
e da film nato dando ascolto prima agli effetti (vincere un festival?)
che all'ispirazione. Quasi insopportabile.
Voto: 20/30
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