Prima. – Che nostalgia!… le pagine ingiallite di un vecchio
giornaletto Corno (la casa editrice italiana che ha fatto conoscere ai
giovani degli anni ’70 i supereroi!) la scritta a caratteri cubitali – il
colore variava dal giallo al verde fosforescenti… Hulk! Poi di corsa nella
sala parrocchiale di un piccolo paese di un sabato pomeriggio con le
merendine Fiesta a vedere Bill Bixby nella parte del tormentato scienziato
Bruce Banner e Lou Ferrigno nel celebre mostro verde (rispettivamente:
L’incredibile Hulk, 1977,
Il ritorno dell’incredibile Hulk,
1978, e successivamente la serie televisiva).
Durante. – Non capisco, giuro che non capisco. Mi trovo in una
multisala gremita di critici, di mogli di critici, di figli sghignazzanti di
critici. Sembra di essere in un lunapark dove a tutti si danno scatolette di
cornflakes per diventare più verdi a colazione, pressbook sempre più
voluminosi da fare invidia ormai alle stesse enciclopedie, noccioline,
confezioni di yogurth, mah!… i tempi della Fiesta così come quelli della
critica cinematografica sono decisamente tramontati. Inizia finalmente Hulk
con tanto di titoli di testa curatissimi: primissimi piani, dettagli sui
mitici comics creati da San Lee (ideatore, soggettista, sceneggiatore,
nonché padrone della Marvel Comics) e Jack Kirby (il grande disegnatore tra
i primi a giocare con i chiaroscuri per rendere più credibili e
tridimensionali i muscoli dei supereroi). Nulla da dire sulla conflittualità
psicologica dei personaggi anche se Eric Bana conserva l’espressività di un
pesce lesso. Quando però si vuole troppo rendere psicanalitica la
trasposizione cinematografica di un fumetto bisogna creare anche l’atmosfera
adatta (l’oscurità, il fuori campo… basta in fondo andarsi a rivedere alcuni
must di Tim Burton e/o Sam Raimi) altrimenti il rischio è una soap opera
dalla comicità involontaria. E purtroppo spesso accade che in un primo piano
di Jennifer Connelly ho faticato non poco a capire se mi trovavo al cinema o
a casa mia di fronte al mio 32 pollici a guardare sonnacchioso una replica
di Beautiful. Ed è forse nella figura tormentata e inquietante di Nick Nolte
a suggerirmi che nonostante tutto sono ancora al cinema. Eppure come un
gioco della playstation il pericolo della delusione è sempre in agguato.
Finché la creature al digitale è nell’oscurità e a poco a poco appare il
primo piano del volto, tiro un sospiro di sollievo e sono pronto
all’applauso, ma poi, come in un terribile gioco a specchi, quando compare a
tutto campo Hulk non posso che gridare all’ignominia! Altro che movimenti
plastici, altro che potere del digitale… l’effetto è terrificante: sembra un
cartone animato trapiantato in un film… come accadeva con Roger Rabbitt!
Dopo.- Esco deluso e arrabbiato… penso all’opera meritoria di come ha
utilizzato il digitale Peter Jackson per la trilogia de Il Signore degli
Anelli, penso alle oscurità neogotiche di un Batman di Tim Burton o al
Darkman di Sam Raimi o alla stessa rilettura in chiave pop di Spiderman o ai
ridicolissimi ma non per questo privi di fascino serial televisivi di Batman
o a quelli mai troppo compianti come in questo momento di Hulk. Eppure dopo
qualche minuto mi viene una gran voglia di ridere. Ripenso alla pellicola
vista… alle scene in cui Hulk goffamente salta tra le dune del deserto,
allontanandosi velocemente e poi vedo mentalmente – in un mio personale
montaggio cinefilo! - l’espressione affabile del regista Ang Lee che
dichiara in una conferenza stampa: - Sono molto soddisfatto del mio film.
Mentre rido, apro la scatola di cartone in omaggio all’anteprima del film e
leggo la promozione del videogioco
Hulk: The Game. Mi vengono in mente le parole inacidite e sarcastiche
di un critico di fronte a un ennesimo blockbuster: - Fanculo la critica,
giochiamo!
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