
Cosa può fare, per sopravvivere, un autore, se è erede di
un paese che ormai tutti vogliono morto? Goran Paskalijevic è nato
in Serbia, quella Serbia che Milosevic ha portato fuori dal mondo, e il
cui contributo economico al Kusturica di UNDERGROUND già nel '95
portò con sé un numero infinito di polemiche. Può
tentare una visione/metafora della propria terra da oltre il confine,
o mettersi al servizio di produzioni straniere e storie lontane: comunque
sia è costretto ad emigrare. COME HARRY DIVENNE UN ALBERO è
un po' tutte queste cose per quanto, in realtà, non ne porti a
compimento nessuna.
In Italia il film doveva essere intitolato IL SOGNO DI HARRY, poiché
la prima sequenza vede il protagonista raccontare quello per lui più
ricorrente: un giorno si trasformerà in un albero, e il suo legno
servirà per le bare di chi ha odiato in vita. Infatti per Harry
- roccioso coltivatore di cavoli nell'Irlanda degli anni Venti, cui gli
inglesi hanno ucciso uno dei figli - un uomo si vede dall'importanza sociale
dei i suoi nemici. È per questo che si sceglie per rivale George
O'Flaherty, l'uomo più potente della comunità.
Ma quello di Harry è un bisogno di scontro quasi fisiologico, innato,
e che non è difficile accostare - semplificando molto - ad una
costante della storia del popolo ex-jugoslavo, la stessa attualizzata
anche da Paskalijevic nel precedente LA POLVERIERA: la tensione al conflitto.
Se tuttavia il principale difetto di quel film era l'eccessiva insistenza
sul valore metaforico di base, qui non è assolutamente chiaro l'obiettivo
cui si tende: perché Harry diviene - peraltro in modo cinematograficamente
piuttosto involuto - un albero? E soprattutto come si giustifica, visivamente
ancor prima che nel contesto narrativo, tale svolta? L'esule Paskalijevic
prende di peso l'indole favolistica-visionaria che molti oramai, grazie
al già citato Kusturica, associano all'universo para-balcanico,
e la incolla letteralmente al finale di un racconto che per luoghi, tempi
e registro fin lì adottato manca degli agganci necessari. Certo:
il film deve la sua origine ad un racconto cinese, e forse a questa è
legata anche la natura magica dello stesso; ma il trascinarsi dell'opera
per cento minuti tra visi e luoghi comuni dell'Irlanda cinematografica
(irrinunciabile, in questo senso, sembra il ricorso a Colm Meaney: faccia
cara a Stephen Frears) appare il chiaro segno di come Paskalijevic non
conosca a fondo la materia che si è trovato a trattare (e difatti
la scelta dell'Irlanda, a quel che è dato sapere, si deve più
a ragioni produttive che poetiche).
Dato per favorito prima della Mostra del Cinema di Venezia 2001, HOW HARRY
BECAME A TREE è stato giustamente trascurato da una giuria che,
responsabile di un verdetto senz'altro sorprendente, si è quantomeno
rivelata immune da pregiudizi e "soggezioni da autore".
Voto: 23/30
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