Realizzato in Australia, grazie ad un budget presumibilmente non
elevatissimo, da un regista spagnolo trapiantato negli States,
l’ennesimo remake del nuovo millennio è all’insegna del citazionismo più
sfrenato: dopo avere imboccato una poco opportuna scorciatoia, come già
accadeva in WRONG TURN, alcuni ragazzi restano bloccati in un posto
fuori mano a causa di un guasto meccanico e si imbattono in una famiglia
che pare uscita da NON APRITE QUELLA PORTA, lesta a spingerli
all’interno di un sinistro paesino nel quale il tempo sembra essersi
fermato moltissimi anni prima (tanto che nell’unica sala cinematografica si
proietta sempre e soltanto CHE FINE HA FATTO BABY JANE?); ed in questa
sorta di dylandoghiana “Zona del Crepuscolo” (a sua volta ispirata al
piccolo classico di Gary Sherman MORTI E SEPOLTI) i malcapitati
scopriranno che quasi tutti gli esseri umani sono stati sostituiti,
contro la loro volontà, da altrettante statue di cera...
Giunto all’ennesima riscrittura (oltre all’originale di Micheal Curtiz,
ci sono il rifacimento in 3D di Andrè De Toth, con Vincent Price, e la
più recente versione di Sergio Stivaletti prodotta da Argento), il
soggetto si presenta a questo nuovo appuntamento più vuoto che mai: la
mancanza di un autentico filo conduttore limita la vicenda ad un mera
successione di momenti a se stanti, nella quale persino il prologo e la
rituale sorpresa conclusiva finiscono col sembrare superflui, in quanto
apparentemente slegati da tutto il resto, e le poche sequenze “forti”
assumono un aspetto decisamente gratuito.
Anche se, alla luce di tutto ciò, la più accattivante variazione sul
tema continua ad essere l’apocrifo WAXWORK (BENVENUTI AL MUSEO DELLE
CERE, 1988) di Anthony Hickox, l’esordiente Collet-Serra riesce almeno
in due piccole imprese: la prima, non da poco, è quella di avere reso
quanto meno non irritante questa nuova produzione marchiata Dark Castle
Entertainment grazie all’impiego di uno stile registico sufficientemente
personale che, se non altro, fa ben sperare per il (suo) futuro; la
seconda, se possibile ancora più clamorosa, consiste invece nell’avere
capitalizzato la presenza potenzialmente nefasta della legnosa Paris
Hilton, i cui atteggiamenti inequivocabili immortalati dall’obiettivo di
una minivideocamera digitale alludono, in maniera esplicita e gioiosa, a
ONE NIGHT IN PARIS, il filmato hard casalingo, reperibile in rete, che
le ha fruttato una discreta notorietà in tutto il mondo.
Voto: 18/30
01:06:2005 |