HOTEL RWANDA
di Terry George
Con Don Cheadle, Sophie Okonedo,

Nick Nolte, Joaquin Phoenix

di Gabriele FRANCIONI


Si potrebbe pensare che il cinema d'impegno civile faccia uso d'immagini che non cercano una forma.
Si potrebbe altresì controbattere che film come GARAGE OLIMPO (M. Bechis, 1999) o MISSING (C.Costa Gavras, 1982) distillano il senso di una tragedia reale attraverso impianti formali rigorosi e una rappresentazione dei corpi "pre-morti" (i torturati, i reclusi nello stadio), che va ben oltre la mera e distaccata "documentazione".
Se l'arte cinematografica è anche il tentativo di raccontare la natura transeunte di (tutti i) corpi - in quanto tali sempre "mutanti" - non c'è nulla di così cinematograficamente ricco di forma dell'avvicinamento fisico, organico alla morte.
Tenere fuori campo i "corpses", i cadaveri, o farli apparire offuscati da una nebbia quantomai opportuna, come accade in HOTEL RWANDA, non è tanto un tradimento dell'aspetto documentaristico, quanto di quello prettamente "estetico".
Dobbiamo peraltro riconoscere come non sia sempre possibile concedersi il lusso di procedere all'interno di un'idea poetica ed estetica forte, se i tempi di produzione sono compressi, o quando Hollywood tentenna davanti a un tema "eretico" (il genocidio di un milione di africani, colpevoli di avere un peso specifico inferiore a quello dell'ultimo "paria" nordamericano). Eppure quei morti sono immagini fantasmatiche che chiedevano di tornare ad occupare almeno lo spazio filmico, se non quello definito all'interno della nostra coscienza.
H.R. non riesce, di conseguenza, ad alzarsi sopra il livello medio di una solida e necessarissima opera di risveglio della più ampia coscienza civile dell'Occidente, che ha prima occultato, poi archiviato qualcosa che poco interessava in termini di eventuali "utili" post-intervento.

Divise fin dai tempi delle colonie belghe, le etnie Tutsi e Hutu tornarono a scontrarsi nella primavera del 1994, a seguito dell'attentato nel quale morirono i presidenti di Rwanda e Burundi. Ancora oggi pare difficile capire quale delle due parti in gioco agisse con maggiore ferocia, anche se la pellicola descrive solo gli orrori perpetrati dagli Hutu al potere, ai danni dei Tutsi "più alti, più chiari di pelle e più belli", scelti tempo addietro dai Belgi per costruire il nuovo stato su un'unica matrice razziale (al punto da aver codificato un metodo scientifico per distinguerli con precisione dagli "antagonisti").
Sta di fatto che all'inizio degli anni Novanta le leve politico-militari erano saldamente in mano agli "scuri di pelle", colpevoli di una ghettizzazione al contrario dell'altra etnia. Da quest'ultima partì, nell'aprile del '94, la rivolta, che portò agli orrori solo in parte narrati all'interno del film.

Paul Rusesabagina (Hutu) fu il direttore di uno dei maggiori hotel di Kigali - il "Mille Collines" - e riuscì nell'impresa schindleriana di salvare la moglie Tustsi, i figli e centinaia di altri "scarafaggi" asserragliati nell'albergo, senza scorte e costantemente minacciati dai drappelli di militari, privi di un vero e proprio leader o di una benché minima linea strategica.
Su questa debolezza endemica puntò Rusesabagina - interpretato da un ottimo Don Cheadle, nominato agli Oscar e visto di recente in THE ASSASSINATION OF RICHARD NIXON - per corrompere gli ufficiali col denaro e le scorte alcoliche dell'hotel. Ma dovette impegnare grandi forze anche per richiamare l'attenzione degli europei (l'Onu latitava o, se c'era, aveva l'ordine di non sparare, mentre gli Stati Uniti clintoniani non trovavano un valido motivo per intervenire). La catena alberghiera proprietaria dell'hotel di Kigali, nella persona del direttore - qui Jean Reno, riuscì a ritardare gli assalti e a rimandare il momento della resa, che sembrò arrivare il giorno del penoso ritiro dei caschi blu.
Tra desiderio di mantenere alto il decoro, il "nome" dell'albergo in mezzo al degenerare di indicibili violenze (l'uso del machete per far strage di bambini tutsi), e lucidi momenti di abbandono e scoramento ("se vi prendono, buttatevi dal tetto dell'albergo!", intima Paul alla moglie), Rusesabagina risulta essere, comunque, il centro, il perno sia della piccola comunità di disperati a un passo dalla fine, sia del film stesso.
Cheadle trascina letteralmente i vari Nolte (generale Onu) e Phoenix (reporter Usa), altrimenti impantanati in qualcosa di "alieno" e più grande di loro, sino a coinvolgerli empaticamente nel suo folle progetto/sogno di salvezza.

Ma il problema del film è anche la sua forza, perché il pubblico recepisce correttamente il semplice messaggio veicolato da primi piani d'impatto, supportato da una buona gestione del ritmo complessivo del racconto (sono ben distribuiti i momenti di maggiore tensione), dai dialoghi troncati al momento giusto, da una recitazione trattenuta e dall'uso parsimonioso di temi musicali evocativi.

La semplicità del "messaggio" e la mancanza di pretese del film di Terry George (sceneggiatore di IN THE NAME OF THE FATHER), è, insomma, garanzia di facile comprensione e conseguente sicuro successo ai botteghini di tutto il mondo, mentre a proposito dei film citati all'inizio (GARAGE OLIMPO non ottenne i giusti riconoscimenti ai tempi dell'uscita in sala, MISSING vinse almeno la Palma d'oro a Cannes) non si può, purtroppo, dire altrettanto.
 

Voto: 24/30

16:03:2005

HOTEL RWANDA

Regia: Terry George
Anno: 2004
Nazione: Stati Uniti d'America
Data uscita in Italia: 11:03:2005
Genere: Biografico, Drammatico