Home è un film di cui è
difficile parlar male. Gli ingredienti per il successo ci sono tutti. Prima
prova alla regia di un lungometraggio per l’assistente di Tanner, per di più
franco svizzera. Una Isabelle Huppert da urlo, trattata con amore e
devozione sia in abitino di pizzo che in tutona da ginnastica, che farebbe
sembrare chiunque un muratore con poca fede nell’igiene personale tranne
lei.
Un cast minimal ma très
très chic.
Un battesimo alla Semaine de la Critique al Festival di Cannes 2008.
Ecco, forse questa è proprio la chiave per capire e in fondo apprezzare il
debutto di Ursula Meier. è un
film da Cannes.
è una favola ambientata ai
bordi di un’autostrada costruita da anni ma mai inaugurata, dove vive una
allegra e spensierata famigliola che gioca a hockey tra le corsie deserte e
rende il bagno un affare di famiglia. Ai vertici troviamo, oltre alla Divina
Isabelle che tiene gli altri al guinzaglio con un sorriso tutto miele, un
orso Yogy in stivali da cowboy, ambiguamente interpretato da Olivier
Gourmet.
Ben presto si fa conoscenza con la figlia maggiore Judith, che ama girare
più nuda che vestita e farsi gli affari suoi purchè qualcuno la stia a
guardare. A seguire la figlia di mezzo, ovviamente un po’ disagiata,
traumatizzata da una sorella tanto ingombrante, il cui passatempo preferito
è mettere a sistema i minuti che la separano da una qualche disgrazia. E
infine troviamo Julien, figlio minore, classico cocco e allo stesso tempo
vittima dei soprusi familiari. Tutto fila liscio come l’olio fino a quando
il mondo non viene a bussare a suon di clacson alla porta della famiglia
Brady. Che finchè vive nella casa nella prateria può anche permettersi il
lusso di una serena abnegazione, ma quando si trova immersa nel traffico da
esodo di Ferragosto, deve fare i conti non solo con i sinceri apprezzamenti
dei camionisti per la figlia seminuda che prende il sole in giardino, ma
soprattutto con ciò che sono e ciò che non potranno più essere.
L’autostrada apre, e l’inferno entra dalla finestra. Comincia un lento
processo di chiusura che si trasformerà in condanna a forno crematorio.
L’unica vaccinata nei confronti della vita, Judith, riuscirà ad andarsene,
gli altri rinunceranno a costruirsi la piscina in giardino e cominceranno a
costruirsi la tomba a suon di calcestruzzo e gommapiuma.
La claustrofobia familiare si avverte chiara e nitida, si apprezza in più
occasioni la mano solare dell’operatrice della Meier, Agnès Godard, si ama
incondizionatamente Isabelle Huppert, e tutte le donne del film, struccate e
bellissime, nevrotiche ma meravigliose.
Lascia un senso di lieve insoddisfazione come tutte le metafore fini a sé
stesse.
La famiglia è un isola felice che se si chiude al mondo soffoca in sé
stessa, e deve ricordarsi di lasciare aperte feritoie che facciano entrare
aria dal mondo esterno. La vita bussa sempre alla porta e voltarsi
dall’altra parte non la farà tornare da dove è venuta. Mai cercare di
attraversare un autostrada su un tacco 15, è pericoloso e discutibilmente
utile. Questi gli insegnamenti che si evincono, assieme a evita di dare
sonniferi a tuo figlio di dieci anni perché non sta proprio bene.
Ma considerato che è un debutto, si promuove ampiamente la Meier, se non
altro per un finale sulle note di Nina Simone che lascia percepire
nitidamente il calore del sole ritrovato sulla pelle delle guance.
17:01:2009
|