
L'anziano Joe Moore (Hackman) alterna l'attività di artigiano riparatore
di barche di lusso con quella di rapinatore insieme alla molto più giovane
moglie e ai due fedelissimi compagni Bobby e Pinky. Durante un lavoretto
in una gioielleria qualcosa va storto: il colpo riesce ma Moore senza
maschera viene registrato da una telecamera del circuito di sicurezza
interno. Ormai "bruciato", vorrebbe andarsene per mare con i soldi e la
mogliettina ma il suo ricettatore, il perfido Bergman (DeVito), lo costringe
ad effettuare un ultimo complicatissimo colpo e gli impone di utilizzare
nell'impresa una sua persona di fiducia, un losco giovanotto di nome
Jimmy Silk. Moore accetta ma dovrà fare molta attenzione alle macchinazioni
di Silk che oltre tutto ha messo gli occhi su sua moglie. Ancora un ladro
gentiluomo, ancora un colpo impossibile per garantirsi la pensione, ancora
loschi collaboratori che cercano di fregarsi il malloppo. Anche
se l'ultimo film di David Mamet, noto drammaturgo americano ora prestato
al cinema (nella sua filmografia spicca l'intrigante LA CASA DEI GIOCHI)
non brillava certo per originalità, le premesse erano comunque promettenti.
HEIST si presentava come un omaggio a certo cinema di genere molto
in voga soprattutto negli anni settanta - quei noir intrisi di
cinismo e disincanto, popolati da "duri" motivati solo dall'avidità, da
doppiogiochisti, da donne ambigue e letali, film dove prevale un pessimismo
di fondo nei confronti della società, in cui il crimine paga e l'unico
sentimento ad emergere è la lealtà nei confronti dei compagni, anche perché
fidarsi della persona sbagliata può significare la morte - e per questo
ha attirato l'interesse della critica quando è stato presentato fuori
concorso alla 58^ Mostra del Cinema di Venezia. Il risultato finale è
però, ahinoi, francamente indifendibile. Un film nato male: vecchio nell'idea
portante (si insinua il vago sospetto che l'abuso recente di soggetti
incentrati più o meno direttamente su un "colpo grosso" sia un altro
chiaro sintomo della carenza di idee che da qualche anno attanaglia il
cinema medio americano); grossolano nella realizzazione (le scene d'azione
sono impacciate, la tensione è pressoché nulla, e poi è passato il tempo
in cui l'accumulo di colpi di scena, che ribaltano in continuazione la
prospettiva della vicenda, poteva sorprendere lo spettatore; adesso
infastidisce e basta); pasticciato nell'impianto narrativo che pur
avrebbe dovuto essere pane per i denti del regista (i personaggi
propendono verso la caricatura, la sceneggiatura si dipana tra ingenuità,
trovate improbabili, dialoghi anacronistici). In questa delusione generale
Hackman tiene su la baracca come può e fa comunque la sua onesta figura,
ben coadiuvato da un gruppo di solidi caratteristi; resta imperdonabile
invece la scelta autolesionista di utilizzare una "non-attrice" come la
Pidgeon (nella vita moglie del regista, guarda caso) in un ruolo così
delicato. Mentre attendiamo fiduciosi che Mamet toni a trattare temi a
lui più congeniali, gli amanti del genere possono stare tranquilli:
all'orizzonte già si prospettano altri colpi impossibili, altri ladri
gentiluomini, altri loschi compari che cercano di scappare con il
bottino.
Voto: 14/30
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