“Pic-Nic a Hanging Rock”, pellicola enigmatica per eccellenza, rimane, a
dispetto delle varie e fantasiose interpretazioni avanzate dalla critica,
un’opera che ha nell’ermetismo la propria ragione di esistenza. Basato su
un fatto che la leggenda vuole realmente accaduto, il film di Weir trova
la propria unicità nella volontà manifesta di non indagare, di non cercare
risposte al mistero sparizione delle studentesse, ma di rappresentarne
piuttosto l’ineluttabilità, di sondarne gli aspetti archetipi,
sottoponendo lo spettatore ad una ricerca che evita la superficie della
vicenda per addentarne le carni nascoste. Per questa ragione il regista si
preoccupa di spiare chi rimane, costringendo lo spettatore a fissare il
volto feroce di Mrs. Appleyard, direttrice del collegio, che nasconde in
sé le inquietudini sessuali di cui è intrisa l’opera di Weir ed impazzisce
nel vedersi derubata del proprio ruolo di ape regina. Nel gioco di specchi
di “Pic-Nic a Hanging Rock”, il riflesso di Mrs Appleyard è la diafana
Sara, i cui lineamenti delicati riflettono l’afflato onirico del film di
Weir, quasi che il personaggio interpretato dalla bravissima Margaret
Nelson altro non sia che una proiezione, un’incarnazione delicata dello
spirito femmineo che impregna le pareti del collegio e che,
inevitabilmente, lo abbandona alla scomparsa di Miranda e delle altre
compagne. Quelle che non rimangono, che scelgono la via della montagna,
appaiono essere, paradossalmente, i personaggi meno misteriosi dell’opera
di Weir; la sequenza dell’ascesa alla cima di Hanging Rock porta in sé
elementi di misticismo archetipo tanto dirompenti da far apparire
inevitabile, o, meglio, pre-destinato, il gesto delle ragazze. Hanging
Rock diventa per le studentesse scomparse un mezzo di comunicazione
(spirituale, sessuale, religioso) con la propria natura e la presenza
nell’ascesa al monte di Miss Mc Craw, un’insegnante (sacerdotessa?), ha le
caratteristiche del rito iniziatico, della sottrazione volontaria, ma, nel
caso delle ragazze, parzialmente inconscia, alla vita sociale. Il rifiuto
di essere “formiche” (come dirà Marion osservando la distesa di sottovesti
bianche sdraiate sul prato), trova compimento in una fuga che pare avere i
connotati simbolici dell’eremitaggio e che esiste in quanto perpetrata da
donne, cresciute tra donne ed educate da donne, che nell’abito bianco
trovano il riflesso della tunica della vestale che rende omaggio al
Dio/monte. Agli uomini è negata la comprensione; il maschio, ritratto da
Weir in movenze sociali stilizzate, non ha la facoltà di capire né ne ha
il diritto; la giovane Irma, “rifiutata” dalla montagna e riconsegnata al
mondo, non è in grado di comunicare ciò che ha visto perché non trova in
Michael un interlocutore pronto ad apprendere le verità che le sono state
conferite. Il goffo tentativo di ritrovare le ragazze e l’isterica
apprensione delle studentesse del collegio sono gli ultimi tentativi
dell’alveare di ricondurre a sé le api fuggite, e il lutto dell’ape regina
è l’immagine cruda dell’impossibilità di comprendere.
30/30 |