Picnick A Hanging Rock
di Peter Weir


“Pic-Nic a Hanging Rock”, pellicola enigmatica per eccellenza, rimane, a dispetto delle varie e fantasiose interpretazioni avanzate dalla critica, un’opera che ha nell’ermetismo la propria ragione di esistenza. Basato su un fatto che la leggenda vuole realmente accaduto, il film di Weir trova la propria unicità nella volontà manifesta di non indagare, di non cercare risposte al mistero sparizione delle studentesse, ma di rappresentarne piuttosto l’ineluttabilità, di sondarne gli aspetti archetipi, sottoponendo lo spettatore ad una ricerca che evita la superficie della vicenda per addentarne le carni nascoste. Per questa ragione il regista si preoccupa di spiare chi rimane, costringendo lo spettatore a fissare il volto feroce di Mrs. Appleyard, direttrice del collegio, che nasconde in sé le inquietudini sessuali di cui è intrisa l’opera di Weir ed impazzisce nel vedersi derubata del proprio ruolo di ape regina. Nel gioco di specchi di “Pic-Nic a Hanging Rock”, il riflesso di Mrs Appleyard è la diafana Sara, i cui lineamenti delicati riflettono l’afflato onirico del film di Weir, quasi che il personaggio interpretato dalla bravissima Margaret Nelson altro non sia che una proiezione, un’incarnazione delicata dello spirito femmineo che impregna le pareti del collegio e che, inevitabilmente, lo abbandona alla scomparsa di Miranda e delle altre compagne. Quelle che non rimangono, che scelgono la via della montagna, appaiono essere, paradossalmente, i personaggi meno misteriosi dell’opera di Weir; la sequenza dell’ascesa alla cima di Hanging Rock porta in sé elementi di misticismo archetipo tanto dirompenti da far apparire inevitabile, o, meglio, pre-destinato, il gesto delle ragazze. Hanging Rock diventa per le studentesse scomparse un mezzo di comunicazione (spirituale, sessuale, religioso) con la propria natura e la presenza nell’ascesa al monte di Miss Mc Craw, un’insegnante (sacerdotessa?), ha le caratteristiche del rito iniziatico, della sottrazione volontaria, ma, nel caso delle ragazze, parzialmente inconscia, alla vita sociale. Il rifiuto di essere “formiche” (come dirà Marion osservando la distesa di sottovesti bianche sdraiate sul prato), trova compimento in una fuga che pare avere i connotati simbolici dell’eremitaggio e che esiste in quanto perpetrata da donne, cresciute tra donne ed educate da donne, che nell’abito bianco trovano il riflesso della tunica della vestale che rende omaggio al Dio/monte. Agli uomini è negata la comprensione; il maschio, ritratto da Weir in movenze sociali stilizzate, non ha la facoltà di capire né ne ha il diritto; la giovane Irma, “rifiutata” dalla montagna e riconsegnata al mondo, non è in grado di comunicare ciò che ha visto perché non trova in Michael un interlocutore pronto ad apprendere le verità che le sono state conferite. Il goffo tentativo di ritrovare le ragazze e l’isterica apprensione delle studentesse del collegio sono gli ultimi tentativi dell’alveare di ricondurre a sé le api fuggite, e il lutto dell’ape regina è l’immagine cruda dell’impossibilità di comprendere.

30/30

Riccardo FASSONE
17 - 09 - 01