GRINDHOUSE

di Robert Rodriguez, Quentin Tarantino

con Bruce Willis, Kurt Russell

di Chiara ARMENTANO

Nuovo cult Taran-Rodrigueziano, se si concede la crasi di due nomi-icone, il recentissimo film made in Usa (è uscito il 6 aprile) non è stato un gran successo nel dorato reame hollywoodiano. Eppure il film merita. Merita se ovviamente consideriamo il prodotto nella sua gestazione (background dei due padri biologici) e nell’aspettativa che il movie-goer “che sa di cinema” ha prima di entrare in una sala e gustarlo. Quello che qui si sosterrà è che, al di là di quanto se ne dica e se ne dirà visto che in Italia lo vedremo a giugno e probabilmente in una versione non onnicomprensiva, il film (il pacchetto si intende) è molto banalmente ma semplicemente bello. Bello nella misura in cui le tre ore e 11 minuti di pellicola (che comprendono due film, l’uno diretto da Rodriguez, l’altro da Tarantino intervallati da trailers fasulli nella più sanguinolenta maniera splatter) passano veloci come una sana bevuta di Budweiser dopo una giornata faticosa e sudaticcia.
Bello, infine, anche per una terza ragione: perché se amate guardare sangue in quantità industriale, gambe tagliate e gettate volgarmente in strada, mutilazioni e organi che esplodono da corpi in putrefazione e non disdegnate neanche killer psicopatici che da bravi stalker inseguono succose prede per vederle poi crepare nei modi più atroci, allora siete inconfutabilmente nel posto giusto. Diciamo pure che non ci potrebbe essere posto migliore.


La prima parte, diretta dal pupillo di Sin City, è Planet Terror. Cherry (Rose McGowan), novella musa del dittico di cineasti pulp, è una ballerina che lavora in un night disposta a cambiare vita pur di non mostrare ancora tette e culo per sopravvivere. Si rifugia in un diner fuori mano a meditare sul suo futuro. Intanto una giovane biondina (la Fergie del gruppo Black Eyed Peas) si ferma a fare benzina lì. Ricarica il bolide e riparte ma dopo poco la macchina si ferma ancora. Nell’arco di pochi minuti strane cose accadono. Fergie sarà massacrata (le verrà liquefatto letteralmente il cervello) da un trio di “cose” dalle sembianze umane che le si avventeranno contro e di lì a poco il fenomeno dilagherà in massa. Un cartello ci informa di essere a due miglia da una base militare. Bruce Willis nei panni di un comandante dal polso duro, sa cosa sta succedendo ma non riesce, forse non vuole, frenare la carneficina.
Si tratta di un’epidemia, come sapremo in seguito, che deforma i corpi umani rendendoli ammassi di carne non meglio identificata, e li condanna al cannibalismo. La trilogia Romeriana ovviamente è vicina, ma in questo film vediamo brulicare quasi tutta la fugace ma intensa parabola horror-splatter-gore contemporanea (a partire da quel ’68 in cui le cose cambiarono un po’ ovunque, e non da ultimo al cinema).
Riconosciamo innanzitutto i film che Rodriguez stesso ha dichiarato averlo ispirato, Incubo sulla città contaminata di Umberto Lenzi, Zombi 2 di Lucio Fulci, e non da ultimo il Carpenter di Assault on Precinct 13. Ma di questo ultimo l’influenza sembra ben più forte della semplice menzione di un unico film. Intanto la colonna sonora è praticamente un mix delle più carpenteriane delle sonorità, e poi in quella gelatina putrescente come non ravvisare la “Cosa” più tutta una serie di esplosioni d sangue e violenza, erotizzazione di corpi femminili ed eccesso debordante in tutte le sue forme, che hanno costituito l’immaginario inesauribile e la linfa vitale del cinema del trentennio ‘70, ‘80 e ‘90.
Il film si dipana su un intreccio semplicissimo: la classica lotta dei pochi normali sopravvissuti contro una miriade di mostri, e una nutrita schiera di soldati che al solito non fanno il bene dei vivi, ma i loro sporchi interessi.
Metafora della politica corrotta, dei tempi angusti e politicamente compromessi in cui versano gli Stati Uniti e con essi l’intera economia mondiale?
Può darsi, ma quello che più salta agli occhi è qui il divertimento. Il puro, (in)sano entertainment. Inutile appellarsi a messaggi, metafore, morali o quant’altro. La bruna Cherry, perde una gamba (“I have no fucking leg” dirà al suo uomo, Wray, che sembra non essersene accorto) e per tutta la durata del film combatterà, farà l’amore, cavalcherà un cammello nel finale, con una protesi di legno prontamente sostituita con una mitragliatrice. L’altra donna con lei, la bionda dottoressa Dakota Block (appena uscita da una puntata di “ER” un pò fuori target, e dall’andatura così simile alla Daryl Hannah di Kill Bill), mette in mano al figlio una pistola dicendogli, “Mi raccomando non puntartela addosso, ma appena vedi qualsiasi cosa che si muove spara”. E lui “E se vedo papà?”, lei, “Spara più che puoi soprattutto se vedi papà”. Peccato che il bambino, neanche finite di pronunciare le parole della cara mammina, si spara un colpo in testa e lei ha tutto il tempo di godersi il triste spettacolo del figlio morto mentre è costretta a scappare per salvare anche la sua pelle. Tarantino ovviamente si diverte come un matto ad apparire in entrambi i film come un cameo di deux-inter-machina.
 

Seconda parte: Death Proof, diretto stavolta dal padre putativo della Sposa.
Austin, Texas. Un giovane vecchio, Kurt Russell, guida una macchina stile Boy e Luke con un teschio impresso sulla parte davanti. In un’altra auto tre ragazze belle e sensuali (il nome di una di loro è curiosamente Jungle Julia, quasi a ricordare l’aggressività scimmiesca della Jane di Tarzan) parlano, si divertono e approdano in un diner questa volta non tanto fuori mano e decisamente più affollato. Passano il tempo a bere, ciarlare, flirtare, mandare sms a cellulari altrui e giocare a fare le dive. Kurt, il cui nome curioso è Stuntman Mike, prende parte alla commedia, rimorchiando una delle donne in sala che risponde al nome della stessa attrice del primo film (Rose M.) in una patinata tenuta effetto Seventies (in teoria questa seconda pellicola potrebbe essere collocata cronologicamente prima dell’altra, ambientata in un futuro decadente). Entrata in macchina viene fatta fuori a suon di colpi di parabrezza contro il suo delicato faccino. Spiaccicata e grondante. The Texas Chainsaw Massacre di Hooper non può non essere ricordato (uno dei primi a sottolineare il piacere della morte dal vivo), mentre Tarantino ha menzionato il Duel Spielberghiano, banalmente lo Psycho di Hitchockiana memoria, ma paiono ancora lampanti altre pellicole ancora di Carpenter, Christine, e ovviamente ogni stalker che si rispetti fino a Henry Portrait of a Serial Killer, passando per il primo Craven e l’Hooper di quel motel vicino alla palude.
Di carne insomma c’è n’è, e tanta, lì a friggere, ma non sono da sottovalutare anche i riferimenti, sebbene più velati e superficiali, alle locations dei telefilm di quegli stessi anni, Boy e Luke non sono stati citati casualmente, e poi Charlies Angels, visto anche l’epilogo vittorioso per le tre intrepide (che in un inseguimento serratissimo provano il loro coraggio “virile” facendo sdraiare una di loro sul davanti dell’auto, mani legate ai finestrini, e giù il pedale dell’acceleratore).
Il ritmo lascia senza fiato, nell’inseguimento in un paesaggio brullo e assolato siamo assolutamnete dentro l’azione. Ma i riferimenti corrono anche alla stessa cinematografia dei due registi in questione. A Kill Bill un piccolo omaggio sono le gemelle adolescenti in Planet Terror, astute ma insopportabili e maledettamente volgari, oltre che a Pulp Fiction, e anche a Desperado. Senza dimenticare la cornice imprescindibile del combattimento alla “Hong Kong style”, kung fu, e via dicendo.
I due film sono intervallati, come i veri “Grindhouse” del titolo (film d’explotation dai contenuti estremi -sesso, violenza e quant’altro- proiettati in spettacoli da “due” più altro materiale), da trailers fasulli girati ad hoc anche da altri registi.
Il migliore a nostro a parere, è MACHETE, storia di un indiano che vendica i torti subiti ammazzando tutti e circondandosi di belle donne suadenti sottratte ai suoi nemici. Esilarante, soprattutto grazie all’attore protagonista. Seguono quello in cui Nicholas Cage è Fu Manchu alle prese con esperimenti nazisti pronti a creare la donna licantropo (Werewolf Women of the SS diretto da Rob Zombie). Thanksgiving vede un omicida mascherato come Michael Myers uccidere proprio nel giorno di ringraziamento americano (Eli Roth il regista), e infine Don’t di Edgar Wright in cui è vietato fare qualsiasi cosa come intima il titolo, persino andare a vedere il film.
Il film però va visto, decisamente.
Aggressivo, violento, citazionale, postmoderno nei suoi infiniti ammicamenti (vedi Kurt Russell prima di entrare in macchina guarda fisso l’obiettivo in una chiara interpellazione volta a richiamare lo spettatore su ciò che sta per accadere), ironico, manierato eppure esplosivo, è una chicca di azione ed iper-visione eccedente adatta solo ai fanatici.
 

Voto: 29/30

27:04:2007

GRINDHOUSE
Regia: Robert Rodriguez, Quentin Tarantino
USA 2007, 192'
DUI: 01:06:2007
Genere: Grottesco