
La perversione si nasconde nelle cose più belle, si insinua leggera e
poi uccide. Ha il volto di una donna, Mika Muller, delicata assassina,
spinta dalla sua mente ad un crudele solipsismo che la rende prigioniera
di se stessa. Lei ha ucciso per avere la vita di un'altra donna, una famiglia
e un uomo che, diversamente, non avrebbe mai avuto. L'amore che vorrebbe
dare ripiega in se stesso perché frutto del male, perché costruito su
un delitto taciuto e comunque sempre presente tra le pareti di una casa,
tra i gesti di una famiglia finta e tra le note inesorabili di un pianoforte.
La cioccolata è l'unico mezzo che possiede per comunicare col mondo, e
quando offre una tazza di cioccolata non fa altro che offrire se stessa,
invitante e oscura.
Nella bella villa alla periferia di Losanna la vita sembra felice. Tutte
le sicurezze di questa famiglia si dissolvono a mano a mano che la storia
va avanti e la verità si svela nella sua atrocità e si condensa, alla
fine, tra le lacrime che scendono sul viso di lei, seduta su un divano
che sembra risucchiarla. Claude Chabrol cerca ancora una volta di penetrare
"il buio nella mente" e il romanzo di Charlotte Armstrong "Et merci pour
le chocolat"gli offre la materia per costruire un giallo in cui focalizza
la sua attenzione sui personaggi, sulle pulsioni contrastanti che essi
non riescono a controllare e lo fa scandagliando tra le fessure dell'anima,
fino a trovare quelle zone che l'uomo tace a se stesso. Un dramma psicologico
finemente approfondito, corrosivo, costruito sugli sguardi più che sugli
avvenimenti, un film in cui si sente il suo amore per il cinema di quel
grande maestro che è Hitchcock. Le immagini non risolvono il mistero,
basato su un tormento tutto interiore che possiamo solo scorgere nei dettagli
che Chabrol ricerca con sottigliezza. Le inquadrature lasciano che quella
terribile verità della storia gli scivoli sopra, leggera e inafferrabile
come lo è la perversione, come lo è Mika, personaggio centrale che sembra
quasi spinto da una forza centrifuga fuori dallo schermo, in quanto vibra
di una umanità tanto complessa che lei stessa non riesce a contenere,
a comprendere. La bellezza del film sta proprio nel saperci affascinare
della personalità dolce di Mika fino a renderci complici di quel delitto
almeno quanto lo sono Andrè e Guillame, pennelli del quadro che Mika,
inesorabilmente, continua a dipingere. Lei è riuscita ad espropriarli
della loro volontà, essi si illudono di vivere una vita che in realtà
appartiene solo a Mika, che ne è l'unica, diabolica artefice. Essi sono
vuoti, ambigui come lei, poiché spogliati della loro intima essenza. La
loro ingenuità e cecità diviene l'involucro in cui Mika continua a versare
la sua calda cioccolata. Forse è il dolore di una tragedia vissuta a renderli
tali o forse è la cioccolata che con dolcezza li ha addormentati alla
vita. Chabrol è affascinato dal rapporto che lega le donne al mistero,
le donne dice uccidono meglio, in maniera più raffinata.
Straordinaria è l'interpretazione di Isabelle Huppert, un'attrice che
Chabrol definisce fonte di inesauribile talento, ormai sua musa ispiratrice,
con un sodalizio artistico che dura dal 1978 con Violette Nozière. Sicuramente
il film più bello della mostra del cinema di Venezia e se Chabrol non
fosse stato in giuria, questo film avrebbe vinto il Leone d'oro.
Voto: 28/30
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