gran torino

di Clint Eastwood

con Clint Eastwood, Bee Vang

Altri interpreti: Brian Haley, Geraldine Hughes

di Luciana APICELLA

 

30/lode

 

C’è il vecchio leone Walt Kowalski, reduce della guerra di Corea ed operaio Ford in pensione, indurito dagli anni e dalle sigarette, che grugnisce di fronte al declino dell’impero americano. Il vecchio leone Clint/ Kowalski (perchè il mettersi in gioco è totale, senza sconti) che vive solo con il suo cane e un'automobile Gran Torino (simbolo rombante negli anni Settanta del benessere a stelle e strisce) che tiene lucida in attesa di lasciarla a chi se la meriterà davvero, e non saranno certo nè i figli nè i nipoti, ottuse vittime del consumismo capitalistico, pacificate e stupide nel loro bovino e imbelle benessere. C’è infatti una famiglia, la sua, che non conosce, una moglie amata appena morta, due figli mediocri e sovrappeso che viaggiano su suv giapponesi (lo sgarbo più grande!). Poi c'è un'altra famiglia di vicini hmong (l’etnia Laos che, ai tempi della guerra di Corea, appoggiò l’esercito statunitense e subì poi l’esilio e la persecuzione), bizzarra (agli occhi del vecchio) congerie di nonne, madri, figli e sciamani, una delle tante del suo quartiere, “cani e luridi musi gialli” alla cui invasione egli resiste come a difendere un fortino dalla barbarie degli invasori. C’è il parroco cui la defunta moglie si è avvicinata negli ultimi mesi della sua vita, e al quale ha estorto la promessa di far confessare il vecchio per liberarlo dai fantasmi del passato da soldato piegato agli ordini dei superiori (anche se, ricorda Walt all’imberbe prelato che non sa “nulla della vita e della morte, il ricordo di ciò che egli fu costretto a fare è meno doloroso delle violenze perpetrate senza essere comandati a farlo).
Poi accade che il muro di diffidenza di Walt nei confronti degli esotici vicini si incrini quando egli fa conoscenza coi due fratelli adolescenti, Thao e Sue: il primo, istigato dalla gang di piccoli criminali capeggiata dal cugino Spider, tenta il maldestro furto dell’auto del vecchio. Il fallimento di questo rito di iniziazione spinge la gang a punire il timido Thao, prontamente difeso dal fucile del vecchio Kowalski, dal suo piglio duro di giustiziere.La seconda, parlantina pronta e occhi da vispa yankee naturalizzata, ha la faccia tosta di ringraziare il vecchio invitandolo a un barbecue in quella casa di pazzi. Dove Walt scopre di avere più in comune con quei musi gialli (il senso della famiglia, il pudore, il rispetto per una saggezza antica e misteriosa) di quanto non abbia con la sua sconosciuta prole. Così, quando la gang si ripresenterà per vendicare l’affronto del vecchio che ha osato sfidarli, per Kowalski, nel frattempo divenuto mentore e guida del ragazzino imbelle Thao ("è così che deve parlare un vero americano" lo incita a lanciare insulti contro il parrucchiere italiano), non ci sarà che una strada da perseguire, fino in fondo.

Complesso e sfaccettato il ritratto dell’America che Eastwood ci offre nel suo ultimo film. Che ha innanzitutto il sapore di un’opera ultima, di un grande testamento che di sè lascia colui che, da regista e da attore, ha incarnato un modello ed un mito di eroe, macho, conservatore, fedele ai valori fondanti della patria, pronto però a svelarne anche i risvolti negativi, le derive fallimentari. Così il sogno americano di frontiera, di grandezza, di conquista si è infranto nel crollo di ogni utopia capitalistica, nelle facciate piene di crepe delle villette sulle cui verande sventola la bandiera a stelle e strisce, nell’indebolimento di ogni sano principio di moralità, nella sua abiura a favore del dio denaro e consumo. Ma è un sogno al quale malgrado tutto si rimane appiccicati, come dimostra quell’iniziazione all’americanità che il vecchio mette in atto col giovane Thao, fatta di durezza e cameratismi farciti da una buona dose di insulti razzisti Americanità difesa con la nostalgia di un mondo che non c'è più, anche se non lo si ammette (lo stesso Kowalski tradisce nel suo cognome origini polacche).

Il film di Eastwood ha una potenza straordinaria che a poco a poco ti fa capitolare. Se al principio lo puoi accusare di essere un po’ troppo manicheista e stereotipo (la middle class americana è stupida, gli immigrati sono invece saggi e naturalmente buoni, il vecchio duro ha in realtà il cuore magnanimo), mano a mano che la storia si srotola nei suoi perfetti equilibri di commedia e tragedia, ci si ritrova l’animo aggrovigliato da pianto e riso. è un’alchimia che riesce perchè è lo stesso protagonista-e-regista a mettere in gioco completamente se stesso, il proprio passato, le proprie convinzioni politiche, il proprio vissuto personale e la propria immagine di attore, parte integrante dell’ immaginario collettivo. Il duro, il cowboy dagli occhi di ghiaccio maneggia anche oggi, solo più stanco e affaticato, la sua vecchia colt e il suo fucile, gli strumenti della sua giustizia, portandosi appresso il fardello di un passato doloroso. Il vecchio ispettore Callaghan, “dirty Harry”, offre il proprio corpo nel momento in cui nè la giustizia terrena nè quella divina paiono essere in grado di ristabilire l’ordine giusto delle cose. Quello che premia i volenterosi e punisce i criminali e gli impuri di cuore. Afflato cristologico che pervade tutto il film ed ha il suo culmine nella scena finale.

Se non vi scappa una lacrima, non c’è più speranza.

 

27:03:2009

gran torino
Regia di Clint Eastwood
Stati Uniti 2009, 116'
DUI: 13 marzo 2009
Warner Bros
Drammatico