
Citazionista quanto gli amicissimi fratelli Coen, equilibrista degli stili
cinematografici, interessato a disseminare i suoi film di intuizioni registiche
assolutamente folgoranti, piuttosto che a costruire strutture narrativamente
convincenti e capaci di fare a meno di quei lampi creativi, Raimi è un
grande talento partito da esordi ultraindipendenti [LA CASA, del 1982,
autoprodotto e realizzato con l'aiuto di pochi] e successivamente approdato
ad un più sereno e convenzionale rapporto con la grande produzione, dopo
il canonico periodo di sofferenza professionale, solitamente coincidente
con progetti ambiziosi e fallimentari [PRONTI A MORIRE, 1995].
A questo punto della carriera, il regista de L'ARMATA DELLE TENEBRE alterna
lavori d'ispirazione, come il bellissimo, claustrale e coeniano
SOLDI SPORCHI, a brutti esercizi d'autolesionistica professionalità come
GIOCO D'AMORE, migrando dalla tragedia dell'avidità familiare e provinciale,
quasi di farghiana memoria, del film con Billy Bob Thornton, al
cattivo buonismo del lacrimoso passo d'addio del non più eroico
Kevin Costner.
In quest'ottica, THE GIFT è lavoro intermedio. Percorso da un'atmosfera
inquinata e soffocante, capace di evocare gli esordi laddove l'eccesso
orrorifico è funzionale a creare apici insopportabili di tensione, è anche
segnato, peraltro, da una troppo schematica contrapposizione di premesse
da thriller trascendentale, in stile SESTO SENSO, e sviluppo poliziesco,
con tanto di finale processuale. Altrettanto schematica la caratterizzazione
di alcuni tipi - lo psicotico, ma statico Keanu Reaves su tutti - peraltro
negata dall'improvvisa redenzione del suo personaggio una volta in tribunale:
difetto tipico dei lavori che soccombono alle velocizzazioni imposte dalla
produzione, quello di sovrabbondare in dettagli e notazioni descrittive
relative ad alcuni ruoli, nell'incipit e nel primo sviluppo, poi abbandonati
o stravolti nelle seconde parti dei film.
Dispiace che anche il talento di Thornton, qui in veste di cosceneggiatore,
sia sceso a patti con calcoli rivolti al botteghino: la già accennata
vocazione trascendentalista della pellicola, legata alla figura
centrale della sensitiva, vedova coinvolta nella ricerca di una donna
scomparsa e presto costretta a immergersi nel buio indistinto dei suoi
fantasmi privati, sembra studiata a tavolino. Serve, infatti, solo a giustificare
l'ostilità della comunità locale nei confronti della strega, peraltro
non perseguitata con la dovuta crudeltà, e una chiusura segnata
dall'imbarazzante presenza di fantasmi. Shamalayan è praticamente monotematico,
ma convinto di quello che racconta: meglio non tentare di scimmiottare
stile e contenuti altrui, tutto sommato compatti, coerenti.
Dove Raimi è libero di agire, peraltro, THE GIFT regala momenti di terrore
puro e terso, sostenuto dalla solita regia virtuosistica, che ci fa sembrare
opportuni persino i cadaveri sospesi tra i rami degli alberi.
Anche il tratteggio, essenziale e diretto, calibrato e sintetico, della
stessa provincia americana di SOLDI SPORCHI, privo com' è di connotazioni
descrittive troppo dettagliate, è funzionale allo scopo di concentrare
l'attenzione sulla tensione determinata dalla presenza della protagonista
nel 90 per cento delle inquadrature: vero terminale e punto di ripartenza
dell'azione drammatica, la Blanchett costringe il regista ad una sorta
di andirivieni della m.d.p. tra campi medi e piani ravvicinatissmi, incastonata
in chiaroscuri in stile THE MAN WHO WASN'T THERE, dove una precisa mimica
facciale accompagna l'incredibile espressività di quello sguardo.
Appena un po' sopra le righe, ma non per loro demerito, sia Ribisi che
Hillary Swank, qui moglie maltrattata e vittima consenziente, sempre scelta
per ruoli estremi. Da rimarcare la gratuità di certi temi - violenza familiare,
scarsa integrazione dei protagonisti nei contesti della tipica socializzazione
forzata all'americana - in un film tutto sommato di genere, poco incline
al registro pensoso e che non dovrebbe lanciare messaggi.
Voto: 26/30
|