
Chiusi i titoli di testa, ma prima di dare inizio al vero e proprio racconto,
Jarmusch introduce e spiega il protagonista del suo ultimo film attraverso
il luogo in cui abita, isolandone - un po' come Egoyan nell'incipit di
FELICIA'S JOURNEY - pochi ma significativi oggetti. Un grosso individuo
di colore vive solo ed in povertà, è un lettore (in casa
sembrano esserci solamente dei libri) e possiede delle armi. Al muro è
appesa la foto di una donna. L'uomo ha in mano Hagakure, un antico testo
giapponese, dal quale la sua voce off legge che "il codice del samurai
va cercato nella morte". Il libro spiega anche il fondamentale rapporto
che lega ogni guerriero alle sue spade e Jarmusch, proprio su queste frasi,
inquadra una pistola. Ciò è sufficiente a suggerire come
quest'uomo consideri se stesso alla stregua di un antico samurai, e dunque
di chi è disposto a tutto pur di portare a termine il proprio compito;
come i sette eroi di Kurosawa. Scegliere la "Regola del Samurai"
comporta la devozione totale al "signore", al cospetto del quale
la propria vita non ha alcun peso. Se è vero che, come ha scritto
Umberto Mosca, per gli (anti)eroi di Jarmusch, "la vita [è]
un lento apprendistato alla morte" [1], qui (il passo da un DEAD
MAN ad un GHOST DOG è breve) la morte è nulla più
che un'eventualità di secondaria rilevanza, dato che - recita ancora
la Regola - "dobbiamo, ogni giorno, considerarci morti". Con
tali parole si chiude il primo blocco del film, ma queste - come il titolo
in DEAD MAN - paiono scelte per incoraggiare lo spettatore a trascurare
la consueta attesa per il dipanarsi degli eventi, in luogo di un'indagine
sulle ragioni e le dinamiche di un destino (Ghost Dog morirà) che
esse stesse sembrano già scrivere.
Di una vicenda dal dichiarato scheletro noir - volutamente simile a quella
di FRANK COSTELLO FACCIA D'ANGELO (1967) di Melville, il cui titolo originale
è proprio LE SAMOURAÏ - ad interessare Jarmusch sono in modo
particolare i personaggi, alle cui peculiarità conforma anche alcune
soluzioni di stile. Ad attirarlo è il loro essere atipici, non
solo al cospetto dell'uomo comune, ma specialmente alla luce di tutta
una tradizione cinematografica di genere. Una lunga e silenziosa sequenza
notturna, avvolta nel trip-hop di RZA e da un continuo gioco di dissolvenze
incrociate, serve a creare, fin dall'inizio, un'aura di magica leggerezza
attorno alla figura di Forest Whitaker. Solo e pacato, è alla guida
di una grossa auto, ma non ha fretta: proprio come un fantasma, sembra
agire ad un'altezza superiore rispetto a quella del terreno. Si fa chiamare
Ghost Dog, nessuno lo conosce e nella vita è un sicario di professione.
Corpulento ma felino, è vestito come Ice Cube anche se gira con
una ventiquattrore, dove tiene gli apparecchi che fabbrica per intercettare
le comunicazioni delle future vittime. Per le sue preferisce ricorrere
ai piccioni viaggiatori, più sicuri ed imprevedibili di qualsiasi
invenzione tecnologica. Le auto che ruba sono solo un mezzo di trasporto,
e i confini del suo mondo sono limitati al negozio di elettronica e a
"Birdland" - che Jarmusch stringe di proposito in un'unica inquadratura
- dove investe tutti i suoi guadagni, esclusivamente per fini professionali.
Ma lui non lavora solo per i soldi, poiché alla base della sua
decisione c'è soprattutto la fedeltà a Luoie Bonacelli.
In passato - è l'unico flashback del film, riproposto però
in due occasioni - questo gangster bianco lo aveva salvato da un pestaggio
a sfondo razzista, e in lui il sicario ha scelto di identificare quel
"signore" cui il samurai deve la massima obbedienza. Perché
Ghost Dog non è solo un predatore ed un segugio, ma sa soprattutto
rimanere fedele: questa volta l'ordine è di liquidare in segreto
Frank il Bello, non più gradito all'organizzazione. La presenza
di un testimone ostacola però il delitto perfetto. Si tratta di
uno tra i più tradizionali espedienti narrativi, che tuttavia permette
a Jarmusch di aprirsi una seconda strada, parallela allo snodo più
conforme alle regole del genere. Chi ha visto tutto è la figlia
di Vargo, boss di Louie e mandante dell'"infame" omicidio, che
ora, per salvare la faccia, dà l'ordine di eliminare Ghost Dog
e chi lo ha assunto. Ma anche un sicario - si vedano gli esempi di THE
KILLER (Woo) o LÉON (Besson) - può avere un debole, e quello
del samurai nero non sono le donne ma i libri: la sua incrollabile concentrazione
viene meno quando, come ogni vero appassionato, non riesce - molto umanamente
- a trattenersi dall'abbassare gli occhi nel tentativo di scoprire quale
sia il titolo del volume abbandonato vicino alla ragazza. Il libro è
Rashomon, narra storie dell'antico Giappone, e la giovane non esita a
prestarglielo; dunque tra i due esiste una sorta di spirito comune.
Le intenzioni del regista divengono più chiare con l'entrata in
scena di Vargo e dei suoi scagnozzi, che coincide con un deciso mutamento
di registro in direzione del grottesco. Sono tutti vecchi, grassi, zoppi,
o mezzi ciechi; si chiamano Vinny, Sonny, Johnny: nomi che, già
da soli, fanno tanto IL PADRINO, così come alcuni degli pseudonimi
evocati (Jo lo straccione, Johnny il ciccione e Sammy il serpente) sembrano
uscire dritti dritti da una parodia di Zucker-Abrahams-Zucker. E in sala
il pubblico ride, conscio di una dignità (anche cinematografica)
ormai perduta, di cui perfino gli stessi mafiosi hanno il sentore: colpito
a morte da Ghost Dog, è Vinny ad ammettere, quasi nostalgico, di
essere stato quantomeno "mandato al creatore come si faceva con i
vecchi gangster". Chiarito questo, non vi è nulla che vieti
anche agli stupidi - esattamente come in DEAD MAN - di impugnare un'arma
ed uccidere, anche senza una reale necessità. Perché a tenere
in vita il loro mondo è il persistere di quel circolo vizioso di
omicidi e vendette, da sempre coerente alla cultura della mafia, ma che
ormai appare fine a se stesso; tanto che Jarmusch non specifica neppure
quali siano gli interessi che muovono questa gente, così malridotta
da essere addirittura indietro con l'affitto.
Lo scontro tra Ghost Dog e la banda di Vargo è, in primo luogo,
quello tra due opposte condotte, il cui denominatore comune è però
il sistematico ricorso alla violenza. Ma se la lotta di un uomo solo contro
tutti conserva, anche al cospetto di simili nemici, tratti di mitico eroismo,
in un universo talmente futile da apparire in fondo ridicolo - proprio
come quello dei cartoons, che dai molti televisori accesi anticipa alcuni
episodi - Jarmusch ritiene coerente che anche la sofferenza fisica possa
divenire uno strumento dell'irrisione. È per questo che - (forse
troppo) in linea con il cinismo alla PULP FICTION - l'anziano consigliere
di Vargo, all'apice della tensione (la strage nella villa), non muore
battendosi ma, spaventato dalla vista delle pistole, è colto da
infarto; analogamente Ghost Dog spara a Luoie mentre questi è poco
gloriosamente distratto dalla zip difettosa dei pantaloni.
Ora, se è chiaro il tono sottilmente beffardo con cui è
messo in scena questo scontro, vi sono anche dei momenti nei quali l'insistenza
con cui Jarmusch esaspera in Ghost Dog quell'essere inflessibilmente "in
regola" può sembrare smodata, fuori luogo; non tanto dall'arido
punto di vista della verosimiglianza ma per una questione di autentica
necessità diegetica. E nel vederlo sparare controvoglia a Luoie
pur di eseguirne l'ordine, oppure di fronte al quel coreografico rituale,
propedeutico all'ascolto dei CD, a qualcuno l'inamovibile samurai sarà
parso perfino ridicolo. Il problema è comprendere fino a che punto
sia corretto identificare in simili aspetti - come accaduto all'uscita
di DEAD MAN - le debolezze di un autore, preoccupato di costruire un personaggio
(ed un film) secondo i dettami di un fascino da cult-movie, ma esanime
e poco sincero. La chiave, comunque, la fornisce Jarmusch stesso quando,
con una sorta di digressione lynchiana, fa incontrare a Ghost Dog due
cacciatori di orsi in tuta mimetica, fieri della loro preda. Dopo averli
ammoniti sull'importanza degli orsi nelle antiche culture, li ucciderà
entrambi; ma qui il sicario ha dalla sua la forza delle armi, non della
ragione, perché certo non si sbaglia una delle vittime nel dire,
in punto di morte, che "la nostra non è un'antica cultura".
Nulla di più chiaro: il mondo non è come lo si vorrebbe,
e quello della gente comune - dei bianchi - ha già escluso Ghost
Dog con la forza. È un universo di cui nel film si può avvertire
poco più di una traccia nella famigliola al picnic, ma il cui metro
di giudizio è quello di chiunque, anche dello spettatore; e pertanto
se può succedere di deridere alcune delle "forzature"
del sicario, ciò accade - come vuole Bergson - perché "è
comico qualunque individuo segua automaticamente il suo cammino, senza
darsi pensiero di prendere contatto con gli altri" [2]. Con GHOST
DOG- nonostante abbia ormai abbandonato quel minimalismo che lo rese un
oggetto di culto negli anni Ottanta - Jarmusch ha creato in fondo un altro
dei suoi personaggi, sempre in Permanent Vacation e fuori sintonia. Un
uomo con un passato di rifiuto, cui probabilmente ha avuto un ruolo anche
la donna della foto, che il regista ha voluto appesa, nell'incipit, alla
parete. In quest'ottica anche le "stranezze" cui facevamo cenno
in precedenza appaiono tutt'altro che gratuite, ed anche i pochi scarti
stilistici (vedi l'effetto fotodinamistico del coltello roteato nell'aria,
oppure il sibilo provocato dalle pistole, estratte dal fodero ed usate
quasi fossero sciabole) rispetto ad un linguaggio altrimenti imparziale,
andranno letti quali proiezione di un mondo interiore, piuttosto che vuoti
compiacimenti d'autore. Il cinema di Jarmusch ha già mostrato (DAUNBAILÒ)
come il perdente possa intravedere una via nel legame con chi gli rassomiglia,
e qui Raymond, il gelataio francofono che non parla una parola d'americano,
è talmente in sintonia con i pensieri del killer, da non aver bisogno
della lingua per considerarsi, a ragione, il suo migliore amico. Così
quell'ispanico che, pur di evadere, costruisce sul tetto della propria
casa una barca che non potrà mai portare giù. Anche Luoise
Vargo, la sola donna in un mondo di uomini, e Pearline, la ragazzina di
colore con cui Ghost Dog condivide la passione per i libri, sono legate
a lui, non solo grazie all'universo di Rashomon. E a modo suo anche Luoie,
nel salvarlo, ha dimostrato una prepotenza d'umanità, a fronte
di un odio che molti suoi compagni non mancano invece di esternare. Quella
intrapresa da Ghost Dog - ben oltre la scelta del Codice - è in
definiva la lotta per la difesa di un simile; proprio come per l'orso,
l'animale cui, non a caso, Raymond paragona l'amico all'inizio del film.
Ora Ghost Dog può morire, anzi è giusto - sempre nella sua
ottica - che muoia, anche se per farlo sceglie la mano e la presenza degli
amici. "Cos'è? Mezzogiorno di fuoco?", chiede ironico
quando Luoie gli si para di fronte per una sfida all'O.K. Corral assolutamente
fuori luogo, perché quel duello è soltanto l'esasperazione
tragica dell'assurdo e ridicolo sistema di cui entrambi sono parte. Ghost
Dog si lascia uccidere disarmato, ma non può - letteralmente -
morire prima di aver dato in consegna al "signore" il prezioso
Rashomon. Forse, come nell'omonimo film di Kurosawa, una singola storia
può essere raccontata e vissuta in molti modi: Ghost Dog muore
pacificato, in armonia con le proprie regole; Luoie deve sparargli comunque,
malgrado non sia rimasto nessuno per costringerlo, ed anche se questo
non lo trasformerà - è lui stesso a dirlo - nel nuovo boss.
Voto: 28/30
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