GARAGE OLIMPO
di Marco Bechis
con Antonella Costa, Carlos Echevarria e Chiara Caselli



Rappresentare la violenza al cinema comporta, tra gli altri, il rischio di una facile omologazione del proprio film alle cosiddette pellicole "di genere", specialmente americane, che hanno fatto della violenza un vero e proprio topos narrativo. Lo spettatore, più facilmente di un tempo, è portato ad accettare la presenza di situazione molto dure, per cui limitarsi ad una messa in scena consueta della brutalità può non trasmettere più emozioni vere, ma solo un senso di dejà vu. È per questo che, almeno al cinema, la violenza che oggi impressiona maggiormente è quella che convive con il quotidiano, dietro al quale si protegge. Garage Olimpo, il film che Marco Bechis ha ambientato nella Buenos Aires della dittatura militare degli anni Settanta, deve il suo forte impatto emotivo proprio alla dimensione quotidiana e tollerata del terrore. L'immagine di una porta che si chiude e che rimane sbarrata, ma dietro la quale lo spettatore sa che si stanno consumando tremende torture fisiche è, soprattutto dal punto di vista evocativo, forse più forte che non una diretta, e "scontata", rappresentazione dell'atto stesso. Bechis costruisce il film attorno a questo dualismo ordinario/straordinario, che traduce sullo schermo mediante una struttura a due direttrici principali, quella orizzontale (la storia, la quotidianità) e quella verticale (il terrore, i campi di concentramento). Sono due dimensioni che si incrociano, coesistono, e la cui natura è già espressa dal titolo stesso del film, che giustappone il sotterraneo all'ultraterreno (l'Olimpo, regno degli dei), ovvero quanto di più "alto" si possa immaginare. "Noi qui dentro siamo come dio" è ciò che dice infatti uno dei tanti carcerieri del film, ed essi, lì sotto nel garage, sono realmente onnipotenti; e così la macchina da presa del regista riprende spesso dall'alto, in verticale, alcune delle loro vittime, le schiaccia e ne esplicita così la condizione. Tra le due direttrici l'unico possibile punto di dialogo è incarnato nella figura di Felix, il torturatore di Maria, che egli però già conosceva e della quale si innamora. Cercherà di salvarla, anche se per puro egoismo, ma a lei, come agli altri prigionieri, non è concessa via d'uscita. Una scena più di altre può confermare quanto appena detto: Maria riesce casualmente a fuggire, ma il portone attraverso il quale è passata rimane inquadrato, dall'interno dell'autorimessa, senza che Bechis operi alcun taglio: rimane lì ad aspettare il rientro forzato della ragazza. Evidentemente non esiste più un punto di vista differente da quello sotterraneo, quello degli aguzzini, unici artefici del destino dei desaparecidos.

Voto: 29/30

Andrea DE CANDIDO
17 - 08 - 01


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