GANGS OF NEW YORK
di Martin Scorsese
con Leonardo Di Caprio, Cameron Diaz



Riscrivere le nascite delle nazioni, a posteriori o mentre stanno in qualche modo accadendo [UNDERGROUND di Kusturiça], comporta sempre il ricorso all'epica e, di conseguenza, l'impossibilità alla rinuncia di una sorta di grandiosità tematico- visiva, dovuta al doversi rifare per forza ad una messe infinita di dati e notazioni "di realtà", poi trasfigurati dalla personale visione del regista.
Eppure tentare è sempre doveroso e, paradossalmente, anche Scorsese ha creduto di aver fatto una qualche rinuncia : prendere la vicenda privata di due protagonisti del periodo cruciale 1846/1863, intrecciati da vicende private e pubbliche legate all'evoluzione della città di New York, e porla al centro del film.
Ma conseguentemente a ciò, anche filmicamente, s'insiste sul close-up inteso "filosoficamente" come "distanza-non-distanza" dai fatti, dai personaggi e, soprattutto, dagli spazi. Quasi un approccio teorico alla materia del film.
Eppure l' epica vuole spazi infiniti e narrazioni infinite, irriproducibili, le seconde, nelle combattutissime tre ore scarse del film, mentre molto di più si sarebbe potuto fare sul piano delle location intese tipologicamente e dimensionalmente.
Usiamo questo termine perché Cinecittà sembra aver prodotto fondali in scala 1:2, un po' come la villa sulla collinetta di PSYCHO, realizzata più piccola per questioni di spazi della Universal, ma sempre ripresa dal basso verso l'alto per sembrare più lontana. Qui, invece, fin dall'inizio i vari Liam Neeson e Day-Lewis sono effettivamente sproporzionati rispetto al dispendio di cartone e altri materiali dietro di loro. E ovviamente l'osservazione non è limitata al mero aspetto della "compressione" dello spazio centrale di Five Points, attorno al quale ruota la storia, bensì coinvolge proprio quella intenzionale rinuncia ai campi lunghi, al grande respiro, alla vera coralità dei caratteri [ne abbiamo tantissimi, ma non tutti ben sviluppati] proprio perché si è fatta una scelta rispettabilissima, ma che non va a fondo delle proprie premesse. A dire: dal titolo, alla presentazione del film fino ad a mille altre piccole scelte, Scorsese doveva puntare ad uno scontro alla CAPE FEAR tra Bene e Male, tra due tipi umani senza sfondo, senza masse, ad una storia privata che però in qualche modo avrebbe influito su eventi ben più importanti, come il destino, perlomeno, di una città.
Paradossalmente S. ci ha detto di più di certa New York ottocentesca, meglio, fine Ottocento, con L'ETA' DELL'INNOCENZA, dove non a caso "si parlava d'altro".
Ma forse, specie con la Miramax sempre alle costole, non si poteva fare diversamente.
Grande show e "limitate" economie di spesa, star internazionali e Cinecittà, orgoglio di lavorare con uno dei tre, quattro più grandi registi viventi e irrefrenabile voglia di mettergli dei paletti.
Quello che dispiace di più, da questo punto di vista, è che GANGS OF NEW YORK doveva essere il film scorsesiano per antonomasia, mentre, ANCHE, circostanze esterne lo hanno reso spurio, quasi necessitante di un seguito-spiegazione o autogiustificazione.
G.O.N.Y. è il classico prodotto d'arte troppo pensato, troppo voluto, troppo rimandato, troppo caricato d'aspettative, anche perché - e ciò è veramente ridicolo - queste vengono sempre dall'esterno quando si tratta di genii o grandissimi talenti.
Lynch, Cronenberg, Kaurismaki, Scorsese sono liberissimi di sbagliare e NON produrre sempre dei capolavori!!!
La speranza, o la convinzione, è che anche questo film col tempo entri nel novero degli oggetti d'arte maledetti/ sofferti, puntualmente recuperati come capolavori [ una volta calata la tensione cresciuta attorno alla sua lavorazione ].
APOCALYPSE NOW, I CANCELLI DEL CIELO e altri titoli hanno seguito lo stesso iter.
In ogni caso siamo di fronte ad un congegno di continua autoriproduzione visiva talmente ricca, che è difficile non riconoscere lo straordinario, immutato talento di Scorsese nel fare diventare tutto "cosa visibile", pasta cromatica costantemente monitorata dalla m.d.p., che sale sopra le cose e le persone e le frulla, come in CASINO o QUEI BRAVI RAGAZZI, sempre interessata ai casi personali/nazionali di quelle classi sociali che hanno costruito nel tempo la nazione americana partendo da altrove: Italia e ora Irlanda.
A questo proposito ci viene persino il sospetto che l'ottica talvolta esplicitamente filoirlandese del regista, specie dopo il feroce chiarimento tra Cutting/ Day-Lewis e Vallon/ Di Caprio, non sia troppo piaciuta alla Hollywood weinsteiniana, per esclusivi motivi di "gelosia di razza", che forse avrebbe gradito uno spostamento più verso i nostri tempi del testo scorsesiano, sì da garantire eguale, o almeno adeguata "esposizione"alla componente ebraica, nella suddivisione dei meriti per aver creato cotanto Stato.
Ma sono dettagli, ipotesi forse anche facilmente confutabili: eliminate molte delle considerazioni fatte, siamo sempre nell' Empireo dei grandissimi, che hanno, ripeto, tutto il diritto di fare anche i film per se stessi, arrivati a una certa età, alla faccia di produttori che, dai tempi di PULP FICTION, ora vogliono solo ed esclusivamente il prodotto mainstream rastrella-oscar [e pare che anche con il terribile PINOCCHIetto benignano dovranno accontentarsi di un bello zero nella tabella].
Intendiamoci: Benigni a Cannes '98 s'inchinò giustamente e, diciamo così, realisticamente ai piedi di Martin Scorsese, per cui la Miramax può anche fallire due volte al botteghino Usa e con l' Academy con i film dei suddetti, ma noi il nostro personale Golden-Oscar-Globe lo mettiamo sicuramente nelle fantastiche mani dell'italoamericano e lo sfiliamo da quelle ossute e ormai poco espressive di un normale comico italotoscano.

Voto: 30/30

Link:
www.gangsofnewyork.com

Gabriele Francioni
29 - 01 - 03


::: altre recensioni :::