I film del Sundance
Festival, ovvero la vetrina più celebre del cinema indipendente americano, a
volte peccano di una congenita tendenza alla stereotipizzazione dei
caratteri che agiscono nella narrazione: quasi non si riuscisse a spingere
fino in fondo il pulsante del dramma, o del realismo crudo e urtante, ma ci
si tenesse sempre con una mano aggrappati alla sponda dei buoni sentimenti.
Il film d'esordio di Courtney Hunt, pur lodevole ed originale nelle
intenzioni, rischia più volte la scivolata nel baratro della commozione
guidata. Come a dire: ecco, nella scena seguente tirerai fuori il
fazzoletto, io colpirò esattamente quel punto del tuo cervello che ti farà
avere un sussulto. Mi viene in mente molto spesso, quando incappo in queste
situazioni, la definizione di kitsch che Kundera diede nel suo libro più
celebre: il kitsch è il commuoversi della propria stessa commozione, è il
sentirsi parte dell'universale spirito di partecipazione emotiva a quel dato
accadimento. Se due ragazzi corrono su un prato verde, gioirò di quella
sensazione e della sensazione di perfetta sintonia con tutti gli altri
sguardi. La sensazione insomma di trovarmi nel posto giusto con il giusto
mood. Comunque.
Il film d'esordio di Courtney Hunt, pur lodevole ed originale nelle
intenzioni, rischia più volte la scivolata nel baratro della commozione
guidata. Il fiume ghiacciato del titolo è il San Lorenzo, confine tra Quebec
e Stati Uniti. Una landa desolata e monocromatica che ghiacciandosi nel
periodo invernale consente il passaggio di immigrati clandestini che
riescono in tal modo a superare l'ostacolo della frontiera. Ray abita in
questa nowhere land coi due figli. Siamo alla vigilia di Natale
(ovviamente). Il marito col vizio del gioco se n'è andato di casa portandosi
appresso il gruzzolo faticosamente messo da parte per l'acquisto di un nuovo
prefabbricato. Il lavoro scarseggia, i soldi pure. A cena ci sono pop corn e
aranciata. Alla ricerca del marito irresponsabile in uno squallida sala
bingo, Ray incappa in Lila, una mohawk (la popolazione indigena stanziale
vicino alle sponde del San Lorenzo) che si occupa del commercio di uomini da
una sponda all'altra del fiume in cambio di una buona ricompensa per il
rischio corso. Anche lei è madre, ed ha un dramma segreto. E proprio per il
comune status di genitrici, le due si ritroveranno, in un momento molto
delicato, a riscoprire un afflato di calore ed aiuto reciproco in quella
terra dove il ghiaccio del paesaggio è tutt'uno con quello dei cuori.
Girato a basso budget, con una fotografia che privilegia la descrizione dei
luoghi, le ampiezze ostili e inumane, Frozen river non convince fino in
fondo proprio laddove ogni personaggio incarna meccanicamente un buonismo da
manuale: la povertà non inaridisce i cuori, l'illegalità non è fine a se
stessa ma ha come obiettivo il raggiungimento di scopi più che nobili, i
nativi americani rifiutano le leggi e vivono d'illegalità ma hanno in fondo
buon cuore e lo sguardo dolce. Si poteva forse osare di più, spiazzare di
più, soprattutto in considerazione della novità di prospettiva (non più
frontiera messicana ma canadese, inospitale, fredda ed ostile), il
coraggioso tentativo di guardare al tema della frontiera appunto da
un'ottica differente. Ciò che ne esce è invece un film un po' appesantito,
che trova nell'interpretazione di Melissa Leo, candidata all'Oscar come
miglior attrice protagonista, un indiscusso punto di forza.
28:03:2009
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