In un futuro non poi tanto futuro, il 2027, la Terra si ritrova sull’orlo
del collasso economico, sociale ed ambientale. Da quando diciott’anni prima
nessuno è stato più in grado di fare figli, per motivi ancora inspiegati, la
popolazione si trova in uno stato di rassegnazione e aspetta pian piano
l’estinzione del genere umano. La maggior parte delle nazioni versa nel
caos, ad eccezione del blindato Regno Unito, che riesce a mantenere (a
stento) l’ordine con la repressione, intercettando i barconi di immigrati
che cercano di entrare nel Paese e richiudendoli in enormi campi profughi.
Theo (Clive Owen), un tempo giovane ribelle e ora rassegnato ingranaggio del
sistema, si imbatte d’improvviso nella sua vecchia fidanzata Julian
(Julianne Moore), a capo del gruppo ribelle dei Pesci, che gli chiede di
accompagnare fino alla costa una giovane clandestina di nome Kee
(Claire-Hope Ashitey). Inizialmente restio, Theo recupera la voglia di
lottare quando si rende conto che la ragazza, incinta di otto mesi, porta in
grembo la speranza di tutto il genere umano.
I FIGLI DEGLI UOMINI di Alfonso Cuarón, regista eclettico in grado di
passare da Y TU MAMA TAMBIEN a HARRY POTTER E IL PRIGIONIERO DI AZKABAN,
prendendo a prestito la trama dall’omonimo romanzo della scrittrice P.D.
James, coglie l’occasione dell’ambientazione prossimo-futura e ne approfitta
per parlare del presente. Tutto quanto nel film, alle volte in maniera più
esplicita, altre attraverso semplici riferimenti, rimanda a tematiche di
immediata rilevanza: immigrazione, distribuzione iniqua delle ricchezze e
conseguenti conflitti sociali, mutamenti climatici, pandemie, terrorismo e
corruzione delle democrazie rappresentative (illuminante, a questo
proposito, una frase dello stesso regista: “Molte delle storie del futuro si
rifanno al concetto del “Grande Fratello” di Orwell, ma questa è una visione
molto novecentesca del potere dispotico. Oggigiorno le forme di tirannia
assumono vesti diverse, e ciò che chiamiamo democrazia è una di queste".
La critica all’attuale amministrazione Bush trapela dai ritagli di giornale
in casa di Jasper (Michael Caine), il vecchio hippie amico di Theo, mentre
nel cappuccio che viene infilato all’ingresso del campo profughi in testa a
Miriam, l’ostetrica al seguito di Kee, riaffiora in qualche modo il ricordo
delle immagini agghiaccianti giunte sui media dalle carceri americane in
Iraq. Chiude l’elenco la particolare coincidenza per cui, proprio in questi
giorni, è uscita sui giornali la previsione di alcuni economisti e
scienziati secondo cui, se non si prenderanno delle contromisure, entro
vent’anni (giusto nel 2027 narrato da Cuarón), i cambiamenti nel clima
causati dalle emissioni inquinanti provocheranno danni economici e sociali
inimmaginabili, portando l’umanità nel caos.
Il messaggio del giovane regista messicano, quindi, è chiaro: fare qualcosa,
farlo subito, perché forse è già troppo tardi.
Il discorso è affidato ad uno stile visivamente elegante e a soluzioni
registiche interessanti (si pensi al lungo piano-sequenza che bracca Theo
fra i combattimenti nella cittadella dei clandestini, con la camera sporca
del sangue di un ferito). Come unico difetto, il film impiega un po’ di
tempo ad ingranare, l’inizio è vagamente confuso e stentato, e solo dopo una
buona mezz’ora la narrazione raggiunge il pieno ritmo. Una volta però che, a
furia di spingere, il motore della vicenda si accende (un po’ come l’auto di
Theo, Kee e Miriam in una originale scena di fuga), tutto quanto fila liscio
fino alla conclusione.
E appena prima di un finale che lascia comunque spazio alla speranza,
trapela l’idea che nel XXI secolo l’uomo non sia destinato a progredire, ma
viceversa a ritornare ad uno stato primitivo, come suggeriscono le pitture
simil-rupestri nella caverna da dove Theo e Kee si imbarcano per raggiungere
la nave che li dovrebbe portare in salvo.
Voto: 26/30
09:11:2006 |