Dopo il discreto successo, anche europeo, del primo THE EYE, i fratelli
Danny e Oxide Pang, koreani di nascita ma produttivamente “adottati” da
Hong Kong, ci riprovano con un sequel che non abbandona le tematiche tra
lo spiritistico e l’ectoplasmatico che caratterizavano il capostipite.
La storia di una giovane donna che tenta il suicidio e, dopo aver
scoperto di essere incinta, comincia ad essere perseguitata da visioni
inquietanti è tutto sommato una variazione sul tema non eccessivamente
radicale rispetto al cinema “di fantasmi” a cui i fratelli Pang e altri
più o meno abili registi orientali ci hanno abituati. Siamo in odore di
visite sgradite dall’oltretomba e di viventi che loro malgrado fungono
da interfaccia tra l’aldilà e l’al-di-qua; non ci si deve quindi stupire
se il film introduce la tematica del parto che, in quanto passaggio
nemmeno troppo metaforico tra due dimensioni, si è immaginato possa
fungere da porta di accesso alla realtà terrena per entità per lo più
malvage. E in effetti, la sequenza-madre del film, quella in cui un
ectoplasma fluttua sinistramente nei pressi delle pudenda di una povera
partoriente in attesa di incarnarsi nel neonato di prossima venuta, ha
una sua efficacia e ben rappresenta le finalità poetiche di film come
questo THE EYE 2, che sembrano voler unire spiritualità e crudezza,
rendendo materiale, e dunque spaventoso, ciò che per natura è
impalpabile. Peccato che il resto della pellicola corra sui binari molto
battuti dell’horror patinato e inoffensivo, tutto finestre che sbattono
e ragazzine con i capelli sugli occhi, un genere che, anche per via
dello sfruttamento a cui è soggetto il filone, sembra aver perso lo
slancio che il remake Verbinskiano di THE RING aveva garantito.
Evidentemente pensato anche in previsione di un’uscita europea, il film
dei fratelli Pang è un connubio mal riuscito di narrazione di stampo
asiatico (il che implica raccordi narrativi piuttosto evanescenti ed un
lavoro sull’inconscio dello spettatore molto approfondito) e
ammiccamenti al gusto occidentale. La taiwanese Qi Shu è bellissima, ma
non basta a salvare un film che si rivela meno interessante del suo
predecessore; se il primo THE EYE sopperiva ad una sceneggiatura
nebulosa con trovate visive non disprezzabili, questo sequel, pur
godendo di un discreto look (fotografia contrastatissima, luci
interessanti), manca di mettere in luce ogni sottotesto, laddove,
trattando di un argomento delicato e complesso come il parto, ci sarebbe
stato spazio per più di una riflessione o, se non altro, per una
costruzione più sottile dell’impianto metaforico e simbolico. Una
conferma del fatto che ci becchiamo sistematicamente le cose peggiori
fatte in oriente.
Voto: 17/30
09:04:2005 |