ESTATE ROMANA
di Matteo Garrone
con Rossella Or, Salvatore Sansone e Monica Nappo



Non è Roma al centro di questo film, come non lo sono gli stessi protagonisti; piuttosto le loro storie intrecciate a quelle di una città impacchettata e quasi sopraffatta dai lavori del Giubileo. Storie malinconiche di personaggi marginali, tutti legati in qualche modo al teatro: da una parte c’è Salvatore, scenografo artigianale, che lavora ad un enorme mondo commissionatogli per una rappresentazione teatrale, aiutato in ciò da Monica, sua amica e convivente, con cui sembra avere una strana relazione platonica. In realtà i due e la bambina di Monica formano un perfetto nucleo familiare, caratterizzato dalla condivisione totale di qualsiasi problema. A loro si aggiunge Rossella, un attrice in piena crisi esistenziale e padrona della casa dove vivono, di ritorno a Roma dopo un lungo periodo di assenza e alla ricerca confusa di una formula per “non scomparire” dal teatro e dalla vita.
Ed è un susseguirsi di vicende difficili, contorte, deludenti ed estenuanti da dove i tre protagonisti escono sempre sconfitti, ma senza mai disperarsi. Forse perché anche fuori dalle loro storie tutto è incerto. E nel parallelismo scenico di interni ed esterni, entrambi rappresentati in una fase di disfacimento che sembra non avere fine, si concretizza il tema pubblico-privato della disgregazione, che rende questo film politico nel senso più profondo del termine. Senza avere però pretese di completezza ma anzi attraverso una tecnica del frammento che dà allo spettatore l’impressione di un bozza, più che di un’opera organica. Lo stesso alternare documentario e finzione disorienta la percezione e lascia dei dubbi sul vero significato di una storia che non si sviluppa ma resta solo accennata.
Forse per questa scelta stilistica o forse per gli stessi contenuti, sembra comunque che molte cose sfuggano alla comprensione di chi non appartiene a quel mondo e a quella generazione. Mentre ciò che emerge in modo immediato è la forza dell’ironia che si trasforma in autoironia nel momento stesso in cui le situazioni descritte sembrano ben note al regista.
Decisamente congeniale la scelta di ambientazione nella Roma multietnica di Piazza Vittorio, che sembra anche essere un richiamo al tema dell’immigrazione già trattato da Garrone in TERRA DI MEZZO e in OSPITI.

Voto: 22/30

Francesca MANFRONI
17 - 08 - 01

Ci sono registi, o presunti tali, che dovrebbero meditare a lungo sulla natura del loro fare, sulle reali necessità di tradurre un malessere diffuso nel quale sentono di vivere, o che credono di vedere attorno a sé, in qualcosa di vagamente somigliante all' opera d'arte.
Matteo Garrone è senz'ombra di dubbio un ragazzo simpatico, forse anche un potenziale documentarista, cui un giorno qualcuno ha fatto credere di essere, appunto, un "regista".
Questo qualcuno è Nanni Moretti, l' Autore che tanto bene fece al cinema italiano qualche tempo fa, ma che è responsabile, con i premi assegnati dal suo festival Sacher dedicato alla promozione di nuovi talenti [?], della proliferazione di imbarazzanti pellicole, firmate dagli ex-vincitori di quel concorso per cortometraggi. Nina Di Majo, Giovanni Davide Maderna, già presenti, con esiti imbarazzanti, alla scorsa edizione della Mostra veneziana, e Garrone si sono tutti "laureati" al minifestival col nome di torta e tutti denunciano infinite incertezze nell'organizzazione di una qualche struttura narrativa e assoluta mancanza di personalità nel tentativo di abbozzare uno stile. Ma, ripeto, la colpa è di chi li ha premiati e, successivamente, aiutati a girare il loro primo lungometraggio, quando avrebbero dovuto iniziare a studiarsi la storia del cinema e i primi rudimenti di una qualche tecnica di regia…
Come autore di corti, Garrone non è neanche male: ricordiamo a proposito la leggerezza di SILOUHETTE, primo episodio del precedente TERRA DI MEZZO, in cui dava voce alla vitale sofferenza
presente nelle esistenze di alcune prostitute nigeriane della periferia romana, tra bruciati campi pasoliniani [ ma anche simili a certe cose di Corsicato, segnatamente I BUCHI NERI ], umanità marginali e sguardo non compassionevole su quella realtà.
ESTATE ROMANA, invece, semplicemente non c'è come film, non esiste, tale è la sensazione di irritante pressappochismo e spocchiosa esibizione di inettitudine -artistica ed etica- elevata ad auspicabile condizione di vita e ad unica forma resistenziale di un'ideologia [quale?], che vive la quotidianità della Roma del giubileo quasi fossimo ancora nel 1977, capace solo di constatare passivamente quanto siano cambiati, in peggio, il mondo, la politica, gli "altri" : insomma, un brutto filmino girato con la mano sinistra [ nel senso di quella che non sa tener ferma la m.d.p., a meno che anche questa non sia una precisa e ferma scelta di stile, da intendere quale neo-nouvelle-vague de noantri….. ] gironzolando penosamente tra zombi votati al nulla.
Ci viene in mente una battuta dello stesso Moretti, in ECCE BOMBO [ film qui pesantemente e tristemente saccheggiato, vista l'assenza di idee, almeno una dozzina di volte ]. Rivolto al più passivo dei suoi compagni, dice: "[…] Vedi, anch'io sono triste, ma di un triste teatrale, vitale…tu, invece, sei TRISTE-SQUALLIDO…". Rossella, ex-attrice di teatro d'avanguardia [quale?], e Salvatore, non-scultore di oggetti in cartapesta, impersonano se stessi e sono, senza cattiveria, tristi-squallidi, mentre si chiedono "come faccio a non scomparire?" e mentre attraversano le non-vicende della storia qui raccontata con la decisione di un cavallo drogato. Siamo seriamente interessati a sapere se ESISTE REALMENTE QUESTA UMANITA' !!! Gli indiani metropolitani del '77, i movimentasti dell'epoca erano ben diversi e "agitati" ! Hanno cambiato pelle rimanendo uguali dentro [ mi viene in mente Bifo ], mentre i desperados di ESTATE ROMANA vegetano in un limbo temporale che ci comunica solo un' infinita angoscia …
Per l'ennesima volta, la colpa è di Moretti, perché lui stesso continua a credere che il cinema non debba essere anche il COME oltre al COSA, mentre dovrebbe convincersi che BIANCA e LA MESSA E' FINITA, questo il suo capolavoro, devono molto alla presenza di una forte sceneggiatura e di una struttura inattaccabile. Aiutando i Maderna, le Di Majo [ insopportabile il suo AUTUNNO, vero e proprio omaggio "fuori tempo massimo" al mentore romano ] e i Garrone, il regista di APRILE fa del male a se stesso, alla sua fama e al cinema italiano in generale, che sarà sempre più, e irrimediabilmente, una sciatta riproposizione di infinite frustrazioni culturali e private di una o più generazioni di perdenti.
ESTATE ROMANA, come ormai è chiaro, non ha una trama, né uno sviluppo. C'è una proprietaria di appartamento, la Rossella di cui sopra, che condivide con gli inquilini età ed esperienze e insieme ad essi gira la Capitale nel tentativo di vendere o comunque piazzare da qualche altra parte un mappamondo realizzato su commissione dallo scultore che nell'appartamento vive con un'amica.
Lo stream of consciousness dell'ex teatrante, ex di tutto, forse anche ex-di-se-stessa, incapace com'è di accettare la realtà circostante, è accompagnato dall'analogo "irrefrenato" flusso disordinato, piatto, sciatto d'immagini che descrivono questo viaggio al centro della notte-giorno di una Roma ingiallita e accaldata, soffocante e allo stesso distante, quasi a volersi comunque differenziare da tale umanità ciondolante e passiva, mentre la nuova linfa vitale degli extracomunitari è molto più colorata e ottimista, nel suo cimentarsi con esigenze di sopravvivenza quotidiana, laddove gli altri boccheggiano tra un singulto post-beckettiano e disperanti mancanze di talento creativo.
Un'indicazione, questa, che dovrebbe far meditare i succitati Maderna, Di majo….
Mentre a Moretti auguriamo, col prossimo, misterioso film, di superare gli analoghi impacci di APRILE, lavoro anch'esso ripiegato su se stesso e segnato da uno sterile autobiografismo tra il generazionale e il privato.

Voto: il più basso possibile

Gabriele FRANCIONI
17 - 08 - 01


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