
Avrebbe potuto essere un film di profondi contenuti e grande sfoggio
stilistico per tre registi come Michelangelo Antonioni, Steven Soderbergh e
Wong Kar Wai. Di quei piccoli cult da custodire gelosamente sul proprio
scaffale in edizione speciale per collezionisti. Dandogli magari una
spolveratina di tanto in tanto. Avrebbe “dovuto” essere così forse. La
realtà, però, è che EROS potrebbe tranquillamente finire nella lista delle
produzioni più infauste e beffarde della storia del cinema, se Wong e in
parte Soderbergh non lo avessero preso per i capelli salvandolo da una morte
a dir poco annunciata.
Di erotismo si parla, in questo film a episodi che si apre nella campagna
Toscana dei giorni nostri e si conclude in una grigia Shanghai dei primi
anni ’60 passando per lo studio psichiatrico di una New York in bianco e
nero.
IL FILO PERICOLOSO DELLE COSE, corto apripista scritto e diretto da
Michelangelo Antonioni (BLOW UP, ZABRISKIE POINT), è la storia di una coppia
di quarantenni in crisi, la cui vita sessuale ha perso ogni entusiasmo e
passione. E’ un attimo lasciarsi andare a curiosità e sperimentazioni al di
fuori di un rapporto coniugale ormai opaco, dettato dall’atavico abisso fra
uomo e donna. Questa la “prospettiva Antonioni”, un po’ Bertolucciana nel
modo di porsi, snocciolata in fretta e furia con una sceneggiatura ferita a
morte dai pochissimi dialoghi (per fortuna) del nuovo profeta dei centri
commerciali Tonino Guerra. Impossibile rimanere “ottimisti” di fronte a una
simile aridità di concetti, pensati per fornire un taglio pseudo-intimista
ma talmente banali da rivelarsi inadatti perfino a sorreggere 30 minuti di
pellicola. Per non parlare della presenza scenica di Christopher Buchholz (Christopher),
le cui capacità tecniche sembrano strappate al porno, e delle “sempre nude”
Regina Nemni (Cloe) e Luisa Ranieri (Linda), le quali difficilmente verranno
ricordate per l’espressività dei volti.
Steven Soderbergh (TRAFFIC, ERIN BROCKOVICH) dona al suo EQUILBRIUM le
fattezze di una commedia divertente dotata di un erotismo appena palpabile,
nella quale Robert Downey Jr (Nick Penrose) si sdraia sul lettino del non
proprio integerrimo analista Pearl (Alan Arkin) per raccontare il suo sogno
ricorrente, che vede come protagonista una donna sconosciuta in tailleur e
guanti di velluto (Ele Keats). Superiore senza dubbio alla prima, questa
seconda storia si rende piacevole grazie all’interpretazione surreale dei
due protagonisti, pur offrendo alcuni spunti interessanti nel passaggio
sogno-realtà e in un’atmosfera anni ’50 che richiama i vecchi polizieschi
hollywoodiani.
Ultimo in ordine di scaletta ma primo per qualità è LA MANO, interamente
prodotto, scritto e diretto da Wong Kar Wai, con protagonisti Chang Chen nel
ruolo di un giovane sarto alle prime armi e Gong Li nei panni di
un’intrigante prostituta d’alto bordo. Dal minutaggio appena superiore ai
primi due, quest’ultimo corto narra le vicende dell’apprendista Xiao Zhang,
iniziato e travolto dalle forme e in particolare dalla mano dell’avvenente
Miss Hua, della quale si innamora perdutamente. Il regista di IN THE MOOD
FOR LOVE e 2046 (attualmente nelle sale) riesce a regalare una storia
d’amore ricca di complicità e calore, il cui erotismo squarcia il grigiore
di una piovosa Shanghai d’altri tempi. Curioso che l’idea del “tatto” sia
stata ispirata dal clima fobico generato dall’epidemia di SARS durante il
quale ebbero luogo le riprese del film, girato per forza di cose a Hong Kong
invece che nella città d’ambientazione e interamente con l’ausilio di
pratiche mascherine.
Nonostante ciò LA MANO è l’episodio che dona a questo film un briciolo di
dignità artistica e che ci distoglie dall’idea che fosse cosa buona e giusta
abbandonare il cinema dopo i primi 30 minuti.
Voti singoli: 10/30, 25/30,
29/30
Voto Complessivo:
21/30
18:12:2004 |