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Perchè il titolo "Embrione"? È
un chiaro riferimento al figlio mai voluto dal nostro personaggio nel suo
precedente rapporto (o uno dei tanti)? Al figlio rifiutato prima,
concettualmente, e rifiutato poi, fattualmente (l'embrione appunto)?
Tuttavia l'"Embrione" può essere anche la donna a cui il nostro stesso
protagonista fa da carceriere. Alla stessa stregua di una madre nei
riguardi del feto che porta in grembo, il nostro avverte il fisiologico
bisogno di un attaccamente morboso, stretto, viscerale in una larga estesa
placenta, qui rappresentata torbida e fosca dalle pareti delle stanze in
cui la donna/embrione è "alimentata". "Alimentata" a suon di percosse
violente e sistematiche. Come una madre. Una madre che rigetta il seme del
suo amore, ma che allo stesso tempo è conscia dell'attrazione che questo
seme inevitabilmente eserciterà. I frequenti flashback con cui Wakamatsu
ci apre al passato del protagonista aiutano a costruire parte
dell'identità dello stesso. Al contrario, della donna non sappiamo nulla,
se non della sua condizione "carceraria", del suo intrappolamento. Non
sappiamo nulla, come di un feto non si sa nulla, se non che esso è in una
condizione fetale. La tragica fine del protagonista è la tradizionale fine
di chi ha vissuto agli estremi i suoi sentimenti. E la morte è agli
estremi di tutti i sentimenti. L'odio per la donna, la brutale misoginia,
ma anche l'impossibilità di distaccarsene; la donna messa in catene, ma a
cui si rivolgono anche carezze e le si porta da mangiare. Al regista la
bravura di aver rappresentato questa vicenda con una disturbante
delicatezza - o con un delicato effetto di disturbo, fate voi. Voto: 20/30 |
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Giovanni MEMOLA 02-01-2000 |
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