nella valle di elah di Paul Haggis con Tommy Lee Jones, Charlize Theron |
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64mo festival di venezia |
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Un dato inconfutabile ad un primo, approssimativo bilancio della mostra, sembra essere il tentativo rilevante di impegno e denuncia sociale da parte di buona parte dei film in concorso. Certo non si può dire che questo sia un male. La lotta di un avvocato contro gli ingranaggi corrotti di una multinazionale (Michael Clayton di T. Gilroy), la guerra in Iraq documentata con filmati di fiction adattati anche dal web e basati su fatti realmente accaduti (Redacted di B. De Palma) e infine, ancora sullo sfondo della guerra in Iraq, un padre che lotta per scoprire come e perché il figlio sia stato barbaramente ucciso al suo ritorno dall’Oriente. Questa la trama di In the Valley of Elah, ultima fatica di Paul Haggis in cui Tommy Lee Jones è il padre, ex-poliziotto in pensione, che vede morire anche il suo secondo figlio su uno sfondo incomprensibile di guerra e odio. La “Valley of Elah” del titolo è quella che vede competere Davide e Golia, Israeliti e Filistei, raccontata come una fiaba dal Sig. Hank Deerfield (T. L. Jones) al figlio di Emily Sanders (Charlize Theron, poliziotta intenta a risolvere il caso) per illuminarlo al coraggio e al desiderio di combattere le proprie paure. Titolo ridondante e clamorosamente biblico, protagonisti impeccabili, da Lee Jones alla Theron, ai soldati stessi, siamo colpiti dalla efficacia dei ruoli e dalla pregnanza delle rispettive interpretazioni. Il tocco di Haggis si nota nel legare le scene, nel fondere e amalgamare situazioni e aneddoti, fino a trarne un flusso continuo senza grumi né imperfezioni formali, degno della migliore tradizione cinematografica statunitense. Stile corale alla Inarritu, Haggis si distingue nettamente dal regista messicano per il tono e la qualità della iflessione innescata dai fatti rappresentati. Se parliamo di impegno e denuncia sociale,infatti, il riferimento va a qualcosa di preciso. Il tentativo di smascherare realtà scomode, situazioni sociali incancrenite, orribili e ingiuste che comportano conseguenze universali. Ma questi registi, Haggis come il suo collega Gilroy, sembrano piuttosto giocare a rimpiattino con i loro scheletri. Crash-Contatto Fisico del resto, il primo a portare il nome del regista nato a London (Ontario) e vincitore di un numero incredibile di premi, aveva sortito lo stesso effetto dolciastro e fastidioso esattamente come In the Valley Of Elah. La sensazione è che la patinatura con cui si incornicia una storia “quasi vera” (l’uso del sonoro, i dialoghi e quell’orribile scena finale, la bandiera issata al contrario in segno di allarme nazionale) porti segni clamorosi di ruffianeria, confezione e impacchettamento (un ottimo packaging, come un bel regalo di Natale), e in due parole il marchio di quello stesso “sistema Hollywood” che questi personaggi contestano e “boicottano”. E come biasimarlo del resto Haggis, che a Hollywood c’è cresciuto, ne è stato nutrito e in cambio ha sfornato sceneggiature e serial TV, da “Walker, Texas Ranger” a Million Dollar Baby, e che a tutt’oggi ne è in realtà il pupillo più coccolato (con i suoi 60 milioni di incassi ottenuti con Crash, non scherziamo).
Con questo non si vuole
distruggere un prodotto per molti versi eccellente nella forma e tutto
sommato anche per la tematica trattata (già coraggiosa considerato il regime
in cui nasce). La cosa che infastidisce è forse la millantata denuncia
riguardo pellicole come questa (e
Michael Collins ad esempio), che in realtà sembrano sbandierare
fintamente la “rivoluzione” finendo con l’accusare di follia non il sistema,
la guerra o il governo che l’ha voluta, bensì i singoli individui finiti per
sbaglio (o di proposito) nel turbine di devianza psico-sociale. Se il dito
nel film di Gilroy è puntato verso quella Tilda Swinton che si alzava la
mattina e parlava sola davanti allo specchio in pieno delirio schizofrenico,
qui la follia è relegata ai commilitoni di Mike che, presi dai fumi di
alcool e droga, fanno fuori l’amico e poi vanno a mangiare un buon pollo e
patate. Se c’è una cosa insopportabile è pensare (e sostenere) di fare un
film coraggioso che invece relega il clue della questione sullo
sfondo (il corpo di un bambino iracheno investito per sbaglio) e in tal modo
salvare dignitosamente capra e cavoli.
01/09/2007 VOTO: 25/30
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In the Valley of
Elah |
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