
In un liceo americano uguale a tanti altri,
tutto sembra procedere come di routine. Nelle aule, negli asettici corridoi
e nella mensa dell’istituto si susseguono senza sosta le attività
scolastiche, i patemi adolescenziali e le chiacchiere degli studenti. Un
giorno, inspiegabilmente, due studenti si presentano all’istituto armati
fino ai denti e fanno una strage. Nulla, nel comportamento che i due giovani
avevano tenuto nei giorni precedenti il fatto, poteva far presagire uno
sviluppo simile. Ispirandosi ai fatti di cronaca accaduti alcuni anni fa
all’istituto Columbine, Van Sant torna ad un cinema più personale e
riflessivo per raccontare una apparente "non storia" in cui la follia emerge
dalla normalità (ammesso che abbia ancora un senso utilizzare questi
termini), senza alcuna possibile spiegazione razionale. Non c’è degrado, non
c’è povertà, non c’è violenza rimossa che possa in qualche modo permettere a
noi spettatori di farcene una ragione, il solito rozzo determinismo
sociologico non è più in grado di rassicurarci. Ci sono solo questi ragazzi:
costantemente tallonati dalla cinepresa appiccicata sulle loro nuche, eppure
così lontani, enigmatici, imperscrutabili. Un tema sicuramente attuale e
importante, purtroppo penalizzato da scelte stilistiche cinefile troppo
prevedibilmente “da festival” (e da premio): freddo e stilizzato, con
interminabili piani sequenza, le stesse scene riproposte da più punti di
vista e Beethoven a fare da tormentone sonoro. Uno stile anestetizzante che
sembra più una dichiarazione di resa nei confronti di una possibile
comprensione, piuttosto che un invito ad una riflessione lucida. Meglio, a
questo punto, la spontaneità irrequieta e sanguigna di un KEN PARK.
Voto: 24/30
02.11.2003
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