
Un caso contraddittorio, accolto da pareri
discordanti, quello di Elephant
di Gus van Sant. Un film che arriva per molti versi in ritardo rispetto, per
esempio, a Larry Clark,
inserendosi nella non semplice prospettiva del dopo
Bowling a Columbine.
L'impressione diffusa è che ElePHant
abbandoni l'originalità in favore di un glamour di segno negativo, vagamente
fascista nell'assunto di base, evitando le spiegazioni del caso. Van Sant
non sembra interessato ad analizzare la strage scolastica compiuta da due
adolescenti, nonostante si abbandoni, con imperdonabile didascalismo, a
sequenze che suggeriscono l'alienazione dei ragazzi (programmi sul nazismo
in tv, videogames violenti). Van Sant si pone come osservatore esterno, che
segnala i movimenti di una giornata scolastica come tante da punti di vista
diversi, limitati semmai a concettualizzazioni da film giovanilistico. Non è
chiaro l'intento di Elephant,
che oscilla tra voyerismo (la strage) e scene interessanti, tra le quali
almeno una (il cammino compiuto da uno dei protagonisti nel campo da
football) da ricordare. Un passo indietro rispetto a
Gerry, più elegante e meno
forzato. E meno artificiale: il malessere degli Stati Uniti merita di più,
forse, di un album di figurine.
19.05.2003
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