
Trasformare lo spazio bianco dello schermo
in una tela per raccontare una storia d’arte, ribellione, passionalità,
perché l’essenza materica della tavola scivoli dentro ai fotogrammi,
impregnandoli dei colori, delle linee sottili e dei tratti di una tradizione
da rinventare.
Senza vincoli.
Il sessantasettenne regista coreano Kwon-Taek Im, conosciuto al pubblico
europeo per la sua precedente partecipazione al Festival di Cannes del 2000
con il melodrammatico Chunhyang, ma autore di più di 98 pellicole, ha
portato a casa una meritatissima Palma per la migliore regia, ancora a
Cannes, con Ebbro di donne e di
pittura.
La vita di Jang Seung Up, detto Oh-won, viene raccontata attraverso la sua
ascesa verso l’olimpo dell’arte, nel cammino difficoltoso verso una gloria
soggetta all’irrequietezza delle sue esplosioni d’ira.
Nato da una famiglia poverissima nel 1843, viene scoperto, per caso, dal
nobile Kim Byung-moon, che lo protegge e lo aiuta, nonostante la malcelata
misantropia del futuro artista, fino alla scomparsa, avvenuta in circostanze
mai chiarite, nel 1897.
In una Corea ancora soggetta a rigide regole feudali, a metà ottocento,
Oh-won manifesta il suo talento attraverso lampi di follia e armoniose
composizioni, dove la regola è negazione e la libertà assoluta il requisito
necessario a dominare la creazione.
Un ritratto del poeta, costruito sulla base di un romanzo di Min Pyong-sam,
che si svolge lungo le linee guida del collerico temperamento d’artista —
pittura, donne, alcol — in un contesto storico turbolento, che vede il paese
dilaniato da forti spinte contrastanti che toccano le sue più interne
strutture socio-politiche.
Storia del mondo e storia umana procedono in un percorso parallelo che
s’incrocia più volte, senza però mai divenire l’una causa dell’altra. Quello
che interessa a Kwon-Taek Im è tracciare, con la stessa mano ferma di
Oh-won, un profilo netto che delinei, oltre alle suggestioni esistenziali di
un’epoca, una personalità assolutamente complessa all’interno di una messa
in scena impeccabile, staticamente classica.
I decori floreali dell’arte figurativa (di scuola cinese ma arricchita delle
influenze più disparate), glaciali nel loro rigoroso geometrismo, diventano
la sola via per mostrare e ricomprendere l’energia di un’opera
apparentemente patinata, sotto la lastra di un estetismo imperturbabile che
lascia continuamente sfuggire guizzi di una passione ardente.
La fiamma stessa della vita.
Voto:28/30
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