A riunificazione con la Cina imminente avevamo visto, proprio a Venezia,
un film minore, in cui si tentava l'analisi di quelli che, ad Hong Kong,
avrebbero potuto essere gli effetti di tale rivoluzione. Era il 1997 ed
il film era CHINESE BOX di Wayne Wang. Oggi sul tema e sugli stessi luoghi
torna Fruit Chan, che bene conosce l'ex colonia britannica per averci
vissuto dall'età di dieci anni. La sua, tuttavia, è opera
di ben altro spessore, nella quale - come accade nelle migliori occasioni
- l'analisi del contesto storico e sociale avviene in forma di sottotesto
rispetto a quanto, dal punto di vista di quella che strettamente chiamiamo
"la storia", sembrerebbe di maggiore rilevanza.
Fan e Yan sono due ragazze cinesi emigrate ad Hong Kong nella speranza
di guadagni migliori: la prima però ha il permesso di soggiorno
in scadenza e deve arrangiarsi lavando i piatti in un quartiere malfamato;
l'altra è diventata prostituta. Fruit fa sì che si incontrino
per caso, e che ad unirle sia un oggetto particolarissimo. Si tratta del
durian, un frutto esotico, durissimo nella scorza ma polposo all'interno.
Può essere usato come arma, ma anche donato come simbolo d'amicizia
o, meglio, solidarietà per un destino solo all'apparenza differente.
Il durian diviene così un puro pretesto (apre e chiude il film)
per intrecciare due vicende le cui analogie ci sembrano suggerire come,
nonostante la riunificazione, Cina e Hong Kong siano ancora lontane, e
tante siano pure le illusioni che ciò ha prodotto nelle nuove generazioni.
Con stile non compatto Fruit Chan filma un po' di tutto, lasciando correre
le immagini, anche quando queste non appaiono rigorosamente funzionali
alle esigenze narrative. Così facendo - nonostante spesso perda
in ritmo e linearità - riesce a tracciare un ritratto pressoché
esente da ogni giudizio politico e sociologico preesistente, e a trasmettere
allo spettatore anzitutto una sensazione impalpabile di un contesto ancora
in divenire.
Voto: 26/30
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