
Un uomo saldo e forte perde l'amore di una vita e
si spegne nel dolore... poi, inatteso, un indizio, labile come un fiato,
risveglia l'istinto di vivere sopito che si fa di nuovo forte per intuire,
scoprire, capire. L'esistenza monocroma di un uomo concreto si confronta,
allora, con il pulsante universo delle illusioni e si infrange contro
il bisogno di credere in qualcosa che vada al di là della realtà
visibile. Il Dottor Joe Darrow lascia in sospeso il suo mondo di certezze
ed alternative consumate per immergersi, con tutto il peso della disperazione,
in un'altra dimensione, forse solo sognata, comunque lontana dai rifugi
caldi di ciò che è conosciuto dai sensi e dominato dalla
mente. Il bisogno di seguire il filo che ancora lo lega a chi ha condiviso
il suo stesso sentimento diventa, ad un tratto, l'unico ricordo dell'amore
perduto, l'ultimo inquieto appiglio a chi non c'è più..
il confronto con l'ultraterreno è sconvolgente e lo mette di fronte
a sentimenti contrastanti di paura, desiderio, angoscia.. Qualcosa al
di là della morte esiste ma ha l'apparenza sgranata di un ricordo
sbiadito, il senso confuso di un sogno strappato all'oblio, il volto intenso
e provato delle persone tornate alla vita dopo il coma. L'analisi delle
testimonianze di coloro che, ad un passo dalla morte hanno, per un istante,
avuto quel contatto che giustifica la sopravvivenza di Joe, l'interpretazione
di quei segni che sembrano combinarsi in una risposta ma rimangono impenetrabili
fino ad alimentare sconforto e frustrazione, la ricerca di simboli e significati
anche nelle cose che fanno la concretezza di tutti i giorni, diventano
l'ossessione, il cibo, l'aria stessa di Joe. Accettare che la moglie strappata
alla vita possa chiamarlo dall'aldilà è il biglietto per
entrare nel mondo sorprendente e disperato della vita oltre la morte,
nel mondo dei miracoli, del sovrannaturale e rimanere affascinato dalla
diversa interpretazione delle ombre della realtà alla stregua dell'acquisita
consapevolezza dello stato di transizione di questa vita. La villa familiare,
tanto amata nella dimensione a due, diviene luogo di tutta la solitudine
possibile mentre il centro oncologico per bambini racchiude in sé
la vitalità e lo stupore di un universo fatto di speranza nel dolore,
di volontà oltre le diagnosi, di ritorno a dispetto della morte.
Joe trova un nuovo scopo e viene accolto, pur nel suo scetticismo, in
un mondo che avvolge senza snaturare, che abbraccia ma non stritola ed
insegue il ricordo di Emily in chi di quel ricordo si alimenta ed apprende
il mestiere di rialzarsi proprio da chi sembra più debole ed arreso.
Ed impara a rischiare tutte le sue certezze da chi ha sofferto e della
sopravvivenza ha fatto un'arte tessuta di momenti assaporati, sorrisi
regalati ed addii mai spenti. Nasce tra Joe ed i piccoli pazienti di Emily
una simbiosi tanto stretta da evocare la nostalgia... per una vita perduta
da una parte, per una vita non vissuta dall'altra, o più semplicemente
nostalgia per chi non c'è più. Le parole dei bambini, la
libellula che lo accompagna come guida nel tuffo verso l'incognito, sussurri
e luci che si avvicendano in vivide rivelazioni oniriche, lo condurranno
fino ad una scoperta che è il vero colpo di scena del film e forse
l'unico motivo per vederlo, dimenticando i piatti come stagni. La pellicola
tenta la via dei silenzi profondi e delle lacrime rubate ma, a ben vedere,
fallisce proprio perché appesantisce anziché snellire ed
indugia laddove dovrebbe appena sfiorare, non scegliendo mai definitivamente
la via del dramma o del thriller parapsicologico e finendo con l'accettare
l'indigesta sospensione nel limbo della mediocrità.
Voto: 22/30
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