
Nathan Conrad, psichiatra newyorchese di chiara fama e consolidato successo,
si divide tra gratificazioni professionali e gioie private, uno studio
prestigioso nell'Upper West Side ed una famiglia lucida come uno spot
televisivo. Le piene giornate di lavoro finiscono tra le braccia di una
moglie bellissima ed innamorata mentre le mattine piene di luce iniziano
con il bacio di Jessie, la sua strepitosa bambina di otto anni. La serenità
di chi ha avuto tutto dalla vita viene improvvisamente sconvolta ed annientata
dall'atto più invasivo e violento che uomo possa subire: il rapimento
di un figlio. Alla vigilia della festa del ringraziamento, momento di
solidarietà ed orgoglio nazionale per tutti i "buoni americani"
del grande schermo, Nathan viene interpellato per un consulto d'urgenza
dal Dr Louis Sachs, psichiatra forense dell'Istituto di Bridgeview, che
gli chiede aiuto per un caso disperato. Elisabeth Burrows, una ragazza
traumatizzata da un decennio di ospedalizzazioni coatte, perduta nel labirinto
di cure e diagnosi errate, rinchiusa in un mondo artefatto di sensi obnubilati,
sindromi maniaco depressive e stati catatonici di assenza ed alienazione,
rischia di essere incatenata al letto di una casa di assistenza statale
per il resto della sua vita. L'incontro con la paziente è fulminante
e risveglia in Nathan quella grande passione che lo aveva spinto in gioventù
a dedicarsi allo studio della mente e dei suoi misteri, quegli ideali
che carriera e denaro avevano posto da anni in secondo piano. Il rapimento
della piccola Jessie metterà in luce un legame insospettato tra
un ermetico messaggio sepolto nella mente perduta di Elisabeth e la vita
di Nathan. Per salvare la figlia, infatti, lo psichiatra dovrà
recuperare dal passato traumatico della sua paziente un numero a sei cifre,
che è al tempo stesso chiave del mistero e svolta nella guarigione,
e risolvere una sciarada dispersa nelle pastoie del tempo, custodita come
prezioso tesoro da una guardiana ormai disfatta dalle medicine, senza
più forze o volontà. Il film, tratto da un libro di Andrew
Klavan vincitore del premio EDGAR WRITERS OF AMERICA per il miglior romanzo
giallo dell'anno, non riesce a mantenere il ritmo incalzante ed implacabile
del libro per la perdita, nella trasposizione cinematografica, di quella
prosa vivida che, ancor più della struttura articolata in piani
paralleli o parzialmente sovrapposti, faceva la forza di un intreccio
rivelato passo dopo passo dall'intuizione. Rimane interessante lo spunto
che, per vincere l'ineluttabilità di un destino di tragedia che
sembra segnato, Nathan debba percorrere ed affrancare gli incubi più
radicati nell'immaginario collettivo ed individuare i simboli capaci di
ricondurre a concretezza un grido di paura per sua natura intangibile.
L'universo della follia viene visualizzato nelle sue tappe di reclusione
e morte ed ha l'aspetto tetro ed algido di un ospedale psichiatrico così
come la lugubre destinazione della sconfinata distesa di croci di un cimitero.
Si tratta di un thriller di confezione classica e caratura mediocre che,
nonostante l'argomento profondo e le intenzioni ambiziose, non riesce
a giustificare la concatenazione degli eventi che si susseguono, lenti
e scontati, secondo un ritornello sentito tante volte. Troppo immediato
appare il successo di Nathan nel penetrare l'armatura di diffidenza e
patologia della sua paziente, affrettata l'immedesimazione di Elisabeth
nel destino della bambina rapita così come immotivata l'accettazione
del sacrificio da parte di una persona così forte e disperata da
scegliere il manicomio pur di proteggersi. Il confronto col passato, indotto
da Nathan, assecondato da Elisabeth, si dimostra catartico e lenitivo,
foriero di salvezza e salute per tutti i personaggi coinvolti in una vicenda
orrorifica di violenza e vendetta. Michael Dougales, nella parte di Nathan,
punta al prodotto di intrattenimento leggero giustificando, con la sua
sola presenza e l'accattivante capacità di catturare la luce nel
solco profondo delle sue rughe, un film che non brilla per forza emozionale
e che dimostra come il regista, Gary Fleder, trovasse maggior ispirazione
nelle atmosfere pulp e grottescamente umoristiche del suo precedente e
plauditissimo COSA FARE A DENVER QUANDO SEI MORTO piuttosto che in un
contesto più artatamente commerciale con presunzioni da giallo
psicologico alla Alfred Hitchcock come il presente.
Voto: 21/30
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