DONNIE DARKO

di Richard Kelly
Con: Jake Gyllenhaal, Patrick Swayze, Drew Barrymore, Maggie Gyllenhaal

di Gabriele FRANCIONI


Il Messia è un Paperino dark

 

 

Una frase da una canzone del film:

“THE DREAMS IN WHICH I’M DYING ARE THE BEST I’VE EVER HAD.

I WANT TO DROWN MY SORROW, NO TOMORROW, NO TOMORROW…”

D.D. è un oggetto bellissimo che va contemplato da diversi punti di vista: potremmo quasi immaginarci di sostare entro ogni singola monade che lo compone, guardando il tutto che essa rappresenta e spiega.

D.D. è la sintesi perfetta (perfettibile?) di: 1) una registrazione evoluta e cerebrale di “segni”, realizzata seguendo una precisa metodologia accumulativa postmodernissima; 2) e il prodotto espressivo di una sensibilità ed una emotività che non conoscono limiti.

D.D. è un film liceale; un thriller sull’ America di provincia; una satira amarissima sull’ ipocrisia e la gioia fasulla di un’ epoca storica (gli anni ’80); un fumetto recitato da attori veri; una fiaba per bambini cresciuti, con lieto fine tragico; un piccolo saggio ingenuo sulla reversibilità del tempo; un complesso di citazioni cinematografiche, letterarie e televisive assolutamente etero-omogeneo.

D.D. è una presa in giro di alcune figure di presidenti repubblicani.

D.D. è un film interamente costruito sul senso della musica diegetica ed (?) extradiegetica.

D.D. è la storia del messia che indossa i panni di Paperinik ed ha come amico un uomo-coniglio (bunnyman).

D.D. è la più intelligente colllezione di canzoni da film degli ultimi anni.


Il titolo di un brano della colonna sonora del film:

“KILLING MOON”, degli Echo & the Bunnymen (Eco e gli Uomini-coniglio).

Oltre ogni altra ragionevole considerazione critica, peraltro, D.D. è la testimonianza toccante della tragedia privata che può vivere un adolescente assai dotato, quando si trova immerso nel primo , vero vortice della vita che si fa esperienza e che, a differenza dei suoi coetanei di epoche passate, oltre a districarsi tra inquietanti, ma "primari", interrogativi sulla vita stessa, è costretto a tentare di sopravvivere all'interno di un universo costruito sull'ambiguità, multiversità, aggressività dei "segni" della cultura (tele)visiva e di altri media.
E' l'atto quasi disperato di un'intelligenza in fase di esplosione verso le cose della vita, che però da esse riceve un surplus inaspettato e superfluo di informazioni contraddittorie, confuse, complesse.
E' la tragedia di un quattordicenne - l'età reale di Kelly nel 1988 - che pensava di vivere in un mondo più semplice, più "buono" e dove lo spazio della fantasia potesse continuare ad essere abitato da "ippopotamini affamati" e dai Puffi.
D.D. è la testimonianza di una lotta fra tale esplosione adolescenziale e il precocissimo desiderio d'implodere.

Donald Darko, che si pronuncia in maniera molto simile a Donald Duck, Paperino, ma declinato in modo tale che sia "Dark", cioè scuro, melanconico, è il protagonista di un racconto melanconicamente appassionato che narra i deliri di potenza del bambino che tutti noi siamo stati, quando ci si sente ancora immersi nell'atemporalità delle fiabe, e si rivendica, in tal modo, la volontà di uscire dalla temporalità ovvia dell'esistere, che ci vuole solo biologicamente progettati per la morte.
 



Alcuni fumetti citati in D.D.

I Puffi e Gargamella; gli Hobbit; Paperino; i Supereroi.

D.D. è la messa in scena di un supereroe romantico che rifiuta in blocco, coerentemente, il mondo degli adulti (ma non degli anziani, che sono equiparabili ad adulti tornati bambini) come metafora vivente dell'accettazione dell'insopportabile regola del dover morire.
E che, piuttosto di diventare un compiuto e prevedibile essere umano, capace di concepire la sopraffazione, il calcolo ed essere potenziale causa di dolore, decide di restituire se stesso al "nulla" che precede la nascita (meglio non chiamarlo "morte").
D.D., il Paperino Oscuro, non si sacrifica per gli altri, ma rientra nel gioco e nel non-tempo della fiaba, sorta di dimensione spazio-temporale capace di accettare solo i "non compiutamente nati" (personaggi dei fumetti, creazioni della fantasia, esseri puri, bambini nell'età o nello spirito).
Se non si è mai compiutamente nati (cioè cresciuti), è impossibile parlare di morte, quando si decide di tornare indietro.

Nel bel libro THE LAST UNICORN, di Peter S. Beagle, diventato film nel 1981, per poter entrare nel castello dove vengono tenuti imprigionati i suoi simili, l'unicorno è costretto ad abbandonare la sua prima natura e trasformarsi in essere umano e perdere l'immortalità che lo rende infinitamente potente e allo stesso tempo assolutamente limitato. In una delle tante varianti ribaltate del patto faustiano o del tragico destino dei vampiri, l'nicorno - e Donald Darko nel film - sceglie di morire felice, dopo avere conosciuto l'amore.

Una canzone dalla colonna sonora del film:

"Love will tear us apart" (L'amore ci strapperà via), dei Joy Division.


Il titolo di un film citato in D.D.

THE LAST TEMPTATION OF CHRIST, di M. Scorsese, del 1988.


Un progetto comunicativo così complesso non è il frutto di un mero calcolo o progettazione a tavolino, o, peggio, di "skillfulness" della scrittura cinematografica, ma un prezioso prodotto della passione e dell'emozione.
Richard Kelly (nato nel 1974) è comunque una persona "reale", non un fumetto atemporale e, anzi, il suo fermare il tempo all'apocalittico 1988, dimostra una lucida lettura di eventi storicissimi e concreti, come l'avvento della famiglia Bush dopo l'era Reagan, vissuta con minor consapevolezza degli eventi, e quindi ricordata come età della spensieratezza, quasi che il microcosmo kellyano riflettesse "benignamente" la macroscopicità dello yuppismo.
Per quanto mitizzato, quindi, il periodo in cui la storia ha luogo, gli anni Ottanta, sono raccontati con scintillante concretezza e ironia melanconica.
L'elezione dell'anticristo Bush viene duplicata, nella sonnacchiosa ma perversa provincia americana delle cheerleaders e dei guru new age, dalle continue apparizioni ed esternazioni di un incredibile Patrick Swayze, "docente" di un corso demenziale di autorafforzamento dell'ego (è lui il guru di cui si diceva), basato sull'identificazione di ogni azione all'interno delle categorie Amore o Paura.
"Io credo che lei sia l'anticristo", predica infatti Jake Gyllenhaal durante una performance dell'ex-dirty dancer, vera icona degli Eighties, ripescato con affetto e crudeltà, così come la Katharine Ross del LAUREATO (1967 !), anche qui a stretto contatto con un giovane e i suoi turbamenti.
Storia e microstoria coincidono e il mese di ottobre '88, sino alla fatidica data-scadenza di Halloween, è costellato di segnali e premonizioni che indicano un buco nero di avvenimenti, all'interno dei quali è collocato l'inizio del film: il motore di un aereo fantasma vola sulla casa di Darko, sonnambulo e salvo per miracolo, anche grazie agli psicofarmaci della dottoressa Ross, che ne cura le ferite dell'anima e le devastanti turbe giovanili.
Donnie capisce che si trova all'alba di una possibile Fine del Tempo e sa di essere un predestinato, che, solo fra tutti, sa leggere il sottotesto degli avvenimenti. Ogni cosa rimanda a qualcos'altro, acquistando significati imprevisti e oscuri, apparentemente caotici eppure ordinati (e Kelly difficilmente ha letto Ilya Prigogyne...).

 


Donnie è il messia (temptation of CHRIST), il salvatore, l'Ultimo prima del diluvio (LAST temptation, LAST unicorn).
Kelly, il suo doppio, controlla la materia filmica, sempre sottoposta al rischio di continue digressioni testuali e deragliamenti del senso, con grande freddezza e maturità, facendoci assistere allo sgretolamento del tessuto sociale di una cittadina del Middlesex (letteralmente: "sesso di mezzo") abitata da insegnanti ottuse e ottimiste (Mrs. Farmer, "contadina"), adolescenti asiatiche obese e complessate in attesa di sicuro riscatto, teppistelli persi tra minacce coatte e pulsioni sessuali. Donnie, immerso nell'ipnosi narcotica degli psicofarmaci, vere doors of perception che aprono la mente e gli svelano un fantasmatico compagno di viaggio mascherato da uomo-coniglio gigante, cammina come un cristo nel marasma della cittadina in cui la Teoria del Caos è pratica quotidiana, novello Jesus Christ Superhero dotato di mente immaginifica ("E chi ti dice che io non sia un supereroe?", dice rivolgendosi alla fidanzata Jena Malone). Ispirato dal suo doppio diabolico, D. diventa l'anarchico sovvertitore di quel falso ordine sociale, producendosi in un benedetto teppismo drogato e notturno che allaga scuole e brucia ville kitschissime: interpretazione del Verbo come deriva verso la fine del mondo.
Ma il vero supereroe, il paperinik salvatutto, gli ippopotamini e i puffetti non vorrebbero mai la fine dei Cattivi e dei nemici in genere, bensì la loro semplice sconfitta.


"E se riusciremo a raggiungere insieme i confini del tempo, che ci sia per noi la ricompensa di uno spettacolo di fuochi pirotecnici per porre fine a tutto, una volta e per sempre"
(Richard Kelly).


 

Prima dei saggi scolastici, una sentenza di Mrs. Farmer: "Oggi, 1988, l'insuccesso non è contemplato!"

Tra ralenti che ammiccano ai quasi coevi video dei Nirvana (le cheerleaders di SMELLS LIKE TEEN SPIRIT, 1991, pura estetica fine ottanta-inizio novanta, ispiratrici del ballo scolastico delle Sparkle Motion, il gruppetto teenager di Samantha Darko) e quadri in fiamme raffiguranti Pat Swayze in versione Simon Le Bon, proprio mentre ascoltiamo NOTORIUS dei Duran Duran (!) o accelerazioni che tagliano in maniera funzionale ed espressiva i tempi morti e anticipano RULES OF ATTRACTION di Avary, vaghiamo anche noi in uno stato di stupore e di attesa della fine.
Il cinema giovane di Kelly, ragazzino travolto dall'ipertrofia segnica televisivo-cartoonistico-cinematografica degli anni Ottanta, non può che essere, coerentemente, un postmodernissimo ma compattissimo cut-and-paste di TWIN PEAKS/ BLUE VELVET e THE VIRGIN SUICIDES, HEAVENLY CREATURES e TO DIE FOR, SOCIETY e SHINING, TERRY GILLIAM e PETER WEIR, IL GIOVANE HOLDEN e STEPHEN KING, GRAHAM GREENE ("The Destructors", citato esplicitamente) e PHILIP K. DICK, amalgamati con trasognata non-chalance e incredibile controllo.
Più degli altri, Kelly allestisce un BLUE VELVET adolescenziale costruito attorno ad un plot molto complesso, arricchito da continue digressioni (la teoria sulla reversibilità del tempo, ad esempio), ma fluido e coerente.
Usando i citati ralenti e accelerazioni con insistita parsimonia (tutto il film risulta essere un ossimoro!), Kelly riesce a farci appassionare, oltre che all'insieme, anche alle singole scene: meglio, ai singoli "micro-film" contenuti in D.D. .
Un'ipnosi di canzoni, citazioni, scritte evocative e significanti sulle magliette dei protagonisti o sui cartelloni sparsi in città o all'entrata dei cinema o della scuola: questo caos magicamente trattenuto e contenuto, produce dei grumi spettacolari che vivono anche di vita propria e all'interno dei quali è solo piacevole perdersi, come fa il protagonista.


Alcune frasi o espressioni apparentemente incomprensibili pronunciate da Donnie: "Gerald", "No, Frank", "Deus ex machina", "Torna a casa e riferisci che va tutto bene", "Vedrai, per te le cose andranno meglio".

Donnie è, come detto, il messia-paperino-dark, e come tale si esprime: frasi destinate a non essere capite da chi le ascolta, ma piene di significato quando si ripensa il film dopo la proiezione. Sorta di mini-testo biblico, poiché destinato a molteplici interpretazioni successive, D.D. è una delle pochissime opere a contenere, criptati, percorsi del "senso" che attraversano tutto ciò che di visuale e di scritto appare sullo schermo. "Torna a casa e riferisci che va tutto bene" suona come un "alzati e cammina", come anche "vedrai, per te le cose andranno meglio", rivolto alla ragazzina asiatica maltrattata dai coetanei. Donnie parla come Cristo, dispensa saggezza a gente disperata e sa già che, "morendo", muovendosi cioè "fino ai confini del tempo", rinascerà in mezzo a uno spettacolo di fuochi pirotecnici.
"Gerald", invece, è il nome che si autoattribuisce quando viene interrogato da Swayze, ma, non essendo il suo, ci appare come un non-sense: è invece l'ennesimo riferimento agli ex-presidenti americani repubblicani (gli altri: Bush e Reagan raffigurato in una maschera di Halloween); in questo caso, Gerald Ford.
 


Se altri scomodano "microenciclopedie cognitive" per filmetti come OCEAN'S ELEVEN e altrove si permettono di sottovalutare la pellicola d'esordio di Richard Kelly, sarà giusto che qualcuno parli della necessità di un'ermeneutica di DONNIE DARKO !
Il film andrà ri-studiato una volta distribuito anche in DVD, fotogramma dopo fotogramma.
Già ora, peraltro, possiamo divertirci a decrittare anche solo i nomi dei vari personaggi o l'uso di certi termini:
Jim Cunningham (Swayze) significa "scaltro"; Roberta Sparrow (la studiosa dei viaggi nel tempo) è il "passero", presenza positiva all'interno del film; Mastiffs, "mastini", è il nickname dei truci iscritti al liceo locale; i "worm holes" che permettono a Donnie di attraversare barriere cognitive e spazio-temporali, sono, oltre che l'ennesimo tributo al mondo animale - "vermi", dopo unicorni, ippopotami, conogli, cani mastini, passeri e falchi ("hobie/ hobbit/ hobby"), anche sinonimo di "vita senza scopo"; il termine "gate", genericamente "cancello", che torna varie volte ed appare anche in Christina Applegate, attrice di serial tv citata dal protagonista sotto ipnosi, fa riferimento alle espressioni idiomatiche "gates of ivory/horn", ovvero "sogni fallaci/ veritieri", oltreché rimandare alle porte temporali che vanno attraversate per cambiare il futuro, tra le quali possiamo annoverare anche la "cellar door" del finale, anticipata dalla professoressa Drew Barrymore.

 


Oltre a ciò, anche singole immagini o simboli che ci vengono mostrati sono rivelatori di qualcosa d'importante, come l'occhio inquadrato in piano medio in una delle scene iniziali, poi riproposto nel finale in primissimo piano, che svela un teschio prima invisibile.
Insieme al vestito da scheletro indossato da Donnie ad Halloween, quell'immagine indicava, anticipandolo in modo criptato, il destino di morte del ragazzo-messia fin dalle primissime inquadrature.
Assolutamente esplicito, invece, il riferimento a un Dio-padre che ispirerebbe le azioni di Darko-Cristo ("they made me do it", altri "me l'hanno fatto fare") e che chiamerebbe questi ad un ricongiungimento.
Donnie dice di "non voler restare solo", in questa vita, e che solo il ritorno verso questo dio raggiunto nell'"universo tangente", gli restituirebbe pace e senso dell'essere stato tra i "viventi manipolati".
 



VALZER IN QUARTA DIMENSIONE.

Per dimostrare come niente di tutto ciò sia gratuito e possa essere giudicato con l'arrogante e stupida sufficienza che si riserva ai registi-ragazzini, vale la pena notare l'intelligenza nella scelta del titolo di un brano composto da Michael Andrews per la colonna sonora: WALTZ IN 4th DIMENSION, "Valzer in Quarta Dimensione", è un diretto riferirsi al Tempo da invertire, secondo ciò che vuole la trama del film, ma anche un sottile gioco con i "tre quarti" (3/ 4) del tempo dispari di questa forma musicale, quasi a voler rendere "estremo" il gioco dei rimandi tra la zoppa e sincopata dimensione terrena tripartita e la compiutezza "pari", ma letteralmente incommensurabile e inconoscibile, del Tempo cui si accennava.
O, più sbrigativamente, un giocare ossimoricamente anche con i numeri e le note musicali, poiché quel titolo di canzone può suonare anche come "Valzer in 4 tempi" !
 


Richard Kelly è quindi un genietto del cinema, assolutamente comunicativo nel criptare segni e immagini, e chi non lo capisce dovrebbe fare mea culpa vita natural durante o, perlomeno, sottoporsi a "psicanalisi per critici frustrati". Sorge il sospetto che i registi troppo giovani o troppo "alternativi", vengano giudicati non meritevoli dello status sacro di Autore proprio perché giovani-intelligenti-coraggiosi e, di riflesso, oggetto d'invidia da parte del critico-non-più-giovane-e-meno-intelligente-e-coraggioso-di-essi.
Solo dopo travagli e pene produttive e personali e conseguente invecchiamento, quindi, li si potrà prendere in seria considerazione.
O, in alternativa, se quelli vengono disprezzati per presunzione derivante dalla superficialità considerata tratto tipico dell'età giovanile, vedasi il primo Tarantino (Dio lo benedica !), questi - e cioè i critici - avranno probabilmente avuto un incontro professionale sgradito e di conseguenza generatore di antipatie, quale un'intervista andata male.
Sarebbe bello se anche registi e attori potessero rendere noti periodici commenti sull'attività, se non sulla qualità umana, di coloro (ma solo di quelli, per carità, poiché abbondano anche i critici divertenti e ironici !), che senza ironia e autoironia li giudicano quotidianamente dall'alto di improbabili scranni "cartacei" sui quali si sono auto(im)posti.

VOTO AL FILM E AL REGISTA: 110 cum laude e bacio accademico.
24:01:05

 


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