DOGVILLE
di Lars Von Trier
Con: Nicole Kidman, Harriet Andersson, Lauren Bacall

di V. DI MICHELE


È difficile parlare di Dogville a poche ore dalla prima visione. Il primo capitolo della trilogia americana di Lars Von Trier ha bisogno di quella giusta distanza che permette di distinguere i numerosi livelli di cui è composto. Dogville è, senza dubbio, un dramma di scrittura, che si allontana dall'elemento filmico puro per spostarsi sul teatro (quello brechtiano) e sulla letteratura (americana ed europea). La feroce critica agli Stati Uniti di oggi (visti attraverso un occhio europeo che filtra e moltiplica le ombre) si muove su due piani coesistenti - quello contenutistico, l'ipocrisia borghese di una comunità che isola ferocemente l'elemento estraneo per farne uno schiavo - e quello puramente formale. Il regista danese rinuncia al decor e alla scenografia classica, optando per uno spazio unico dove gli ambienti sono delimitati da perimetri dipinti, che accentuano la sensazione claustrofobica di angoscia, e legando le scene con lunghi piani sequenza, spezzati soltanto da brevi sequenze riprese dall'alto.Tutto è funzionale alla metaforizzazione del concetto di sadismo, quello dell'immagine in primis, il concetto di cinema compresso e seviziato, impoverito e ridotto ai suoi elementi di base, sebbene girato in alta definizione. L'ovazione del pubblico rende merito ad un'operazione interessante e validissima, meno rivoluzionaria, forse, di altre sue precedenti- sicuramente da rivedere, ripensare, interrogare.
Un'opera aperta, alla quale solo il tempo potrà assegnare il giusto valore.

 

19.05.2003