
Kevin Smith è un vero e proprio regista di
culto in America, e le sue commedie hanno regolare successo, l’una dopo
l’altra, e altrettanto regolari critiche dalla parte “conservatrice” del
pubblico statunitense. Questo Dogma
è senza dubbio a tutt’oggi il suo film più controverso, in quanto si
permette di scherzare con il sacro e con l’immaginario cristiano in modo
piuttosto libero e, va detto, talora ai limiti del blasfemo. La trama
riguarda due angeli scacciati dal Paradiso (Affleck e Damon) che decidono di
ritornare ad ogni costo tra le schiere celesti; non comprendono però che,
così facendo, rischiano di compromettere l’intero Creato: se riuscissero a
tornare contro il volere di Dio, dimostrerebbero la sua fallibilità e dunque
l’intero universo, che è sotteso dalle regole che Dio stesso ha dettato,
finirebbe. Altri angeli, demoni ed esseri soprannaturali tentano di fermarli
o, viceversa, aiutarli - e in questa battaglia celeste viene coinvolta anche
una donna in piena crisi di fede (Linda Fiorentino) che si rivelerà ben più
che una semplice umana.
Il film, ben girato e ben interpretato, vale più per le continue trovate di
“rilettura” delle figure sacre classiche (gli angeli, gli apostoli, Dio
stesso) che non per eventuali stimolazioni alla riflessione: il registro
che, coerentemente, Kevin Smith decide di utilizzare è infatti il suo
solito, la commedia a tratti sboccata e volgare, a tratti ricercata e
addirittura “colta”.
La posizione di base di Dogma
in fatto di fede è chiaramente espressa: la religione (qualsiasi religione)
è troppo umana per essere veramente giusta, e soltanto l’individualità del
singolo può far fiorire la vera fede. Come si vede, è una convinzione tipica
della nostra epoca e piuttosto diffusa. Quello che fa la differenza, in
Dogma, sono due cose: da una
parte, la critica al Cattolicesimo visto come una religione essenzialmente
blasfema (ma ricordiamo che si sta parlando del Cattolicesimo americano, che
per guadagnare adepti non è nuovo a trovate pubblicitarie senza vergogna – e
il film non ci risparmia nulla di questa “decadenza”); dall’altra, la
strabordante fantasia di Smith, unita al suo indubbio talento per i dialoghi
comici, rende la storia, di per sé tutto sommato priva di grossi colpi di
scena, molto piacevole e stimolante, e in alcune sequenze davvero
esilarante. Vanno citati in questo senso i personaggi di Jay e Silent Bob
(interpretato dallo sesso Kevin Smith), due giovani scoppiati e strafatti
che ritornano in tutti i film del regista americano e che qui trovano il
loro ruolo più rilevante e divertente.
Alla fine cosa resta allo spettatore? La memoria di alcune sequenze di
splendido cattivo gusto (il demone interamente fatto di merda sarebbe
piaciuto a John Waters), la scoperta finale di un Dio molto diverso da
quanto ci aspettiamo (più nel carattere che nella forma fisica, a dire il
vero - è facile indovinare chi lo interpreti dato che un solo attore tra
quelli accreditati non s’è ancora visto…). Qualche personaggio ben riuscito…
forse alcune battute, alcune gag possono venire ricordate per qualche altro
giorno ancora… eppure resta un po’ la sensazione che Kevin Smith abbia
soltanto finto di osare molto, quando in realtà la sua satira – volendo
essere allo stesso tempo costruttiva e morale – perde in corrosività e a
tratti si allinea pericolosamente con il buonismo fideistico che pare
criticare.
Voto:20/30
07.07.2003
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