django unchained

di Quentin Tarantino
con Jamie Foxx, Christoph Waltz

e con Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson

di Giorgio CARELLA

 

29/30

 

Django (Jamie Foxx) è un ex schiavo liberato dal dottor King Schultz (Christoph Waltz), un cacciatore di taglie tedesco che necessita del suo aiuto per trovare e uccidere tre brutti ceffi. Dopo aver imparato tutti i segreti del mestiere, il nostro eroe agogna, con l'appoggio di King Schultz,  di ritrovare e liberare sua moglie Broomhilda (Kerry Washington), prigioniera nella piantagione di Candyland, gestita da Calvin Candie (Leonardo Di Caprio). Django e King Shultz dovranno quindi usare tutta la loro astuzia e la loro sagacia per liberare la bella dalle grinfie del mostro.
Nonostante non lo ritenga né il suo capolavoro né alla stregua dell'assoluta genialità della sua pellicola precedente (Inglorious Bastards), Django Unchained ha il merito non solo di essere spettacolare, spassoso ed elegante, ha la suprema qualità di riuscire in maniera incredibile a fondere quattro miti insieme, quello del west, quello dello spaghetti western,  quello della lotta dei neri contro la schiavitù e quello delle leggende teutoniche (nel caso specifico quello di Brunilde e Sigfrido, di cui nel film si parla apertamente). Tutto questo senza sermoni, sensi di colpa, barbose lezioni universitarie o recriminazioni storiche, ma solo attraverso la magia della forma d'arte più completa concepita dall'uomo sino a questo momento, il cinema. E la cosa ancora più interessante a mio modo di vedere e che è un tedesco, nella storia in questione, la vera chiave di volta di tutto questo. Un tedesco che unisce il meglio delle qualità ormai scomparse della nostra cara vecchia Europa, ma che probabilmente allora rappresentava, grazie all'illuminismo, alla filosofia kantiana e alle lotte politiche, militari e culturali seguite alla rivoluzione francese e poi alla restaurazione, la perla di una nuova visione dell'uomo. E così, con il semplice personaggio di un film, l'intera cultura del vecchio continente e quella tedesca in particolare, vediamo  reincarnare le migliori idee che abbiamo partorito, quelle di razionalità, senso dell'avventura, cultura alta, romanticismo e comprensione che hanno portato il nostro continente ad essere ancora oggi, volenti o nolenti, uno scoglio di tolleranza, se non reale, quanto meno ideale.
Ed è anche una vera e propria trasmigrazione culturale che Django compie in tutto il suo tragitto, da nero schiavizzato e vestito di stracci, a uomo libero, vestito di tutto punto e intento a far fare al suo cavallo un educato passo di Dressage e non a compiere una cavalcata verso il tramonto. Lo schiavo quindi non cerca di diventare come il mito dell'uomo americano che il western ha sempre promosso, e cioè l'uomo solo e integerrimo contro la società e la natura, ma l'uomo che diventa colto, educato, che torna ad una nuova forma di intelligenza e controllo, su se steso e sulla natura. Nel film, la vera sfida di Django non è quella di liberare la sua amata, ma quella di divenire un uomo nuovo, libero in tutti i sensi e padrone della sua vita e dei suoi sensi, padrone del suo controllo. La sua vera liberazione è la liberazione dai propri istinti animali e non solo dal padrone di una piantagione di cotone. Sotto questi punti di vista il film è ricco e complesso e continuamente cerca lo scontro fra la cultura americana e quella europea. E dalla violenza d'America davvero pochissimi si salvano, soprattutto gli stessi schiavi che si lasciano uccidere, umiliare e che, attraverso lo spregevole personaggio interpretato da Samuel L. Jackson, servono il padrone bianco in maniera totale e con devota complicità. (A mio parere poi è proprio sullo sviluppo del personaggio interpretato da Samuel L. Jackson che Spike Lee si è arrabbiato così tanto).
La rappresentazione perfetta del ruffiano maledetto e servile.
L'idea che il film si concentri sullo sviluppo interiore di una umanità piuttosto che sul suo rapporto con la violenza/assenza della natura è ben evidenziato dal fatto che il paesaggio è poco visibile, poco raccontato, poco importante. Gli uomini e le loro emozioni sono il cuore di questa storia. La scrittura poi è sfavillante, e nella maggior parte dei casi basata sul concetto di menzogna (o se preferite su quella che secondo il regista è l'arte della recitazione). Anche su questa questione si potrebbero scrivere interi saggi. Cosa vuol dire entrare ed uscire da un personaggio, come questo può salvare la propria vita e quella degli altri, cosa succede quando non si è in grado di reggere una parte e così via. In una manciata di scene il vecchio Quentin insegna a qualsiasi attore neofita in cosa consiste l'arte della recitazione. è vero che si tratta di una delle tematiche presenti più o meno in ogni film del nostro amato, ma qui la questione si palesa in vere e proprie lezioni estremamente esemplificate.
A tutti quelli che sono i  piani di lettura del film poi si uniscono le perizie tecniche, il suo stile e il suo linguaggio. Grandi ricostruzioni in studio e set realizzati ad Hoc (molti erano già stati realizzati e utilizzati dalla serie TV DeadWood), che grazie alla loro aria meravigliosamente posticcia regalano una sensazione vagamente fiabesca al tutto che è a mio parere una delle grandi qualità che il cinema dovrebbe tornare ad avere (ricostruire tutto il ricostruibile più o meno e recuperare così una sua specifica caratteristica la cui rinuncia molto spesso rende un film non più cinema ma audiovisivo), utilizzo di zoom a schiaffo e tagli di inquadratura che rubano a piene mani dallo stile dello Spaghetti Western (di cui come è ben noto Tarantino è grande estimatore) ed un uso davvero spregiudicato della colonna sonora (si va da Morricone ed Elisa, al folk del sud degli Stati Uniti al Rap) fanno si che Tarantino riesca nell'impresa di reinventare uno dei generi più difficile da reinventare, quello Western.
L'ultima cosa..ma perché Tarantino può fare quello che vuole? Per una ragione molto semplice, oltre all'indiscusso talento, perché ama il cinema e le storie. E viene prodotto da gente (i fratelli Weinstein) che amano le storie e i film (oltre a voler fare i soldi, beh, certo). Chiedetevi perché da noi non esiste più da molti decenni un regista di questo genere (si, uno solo, ma il suo nome  lo tengo per me) e dei produttori del genere.

django unchained
Stati Uniti 2013, 165'
DUI: 17/01/20132

Western