I DIARI DELLA MOTOCICLETTA

di Walter Salles

Con: Gael Garcìa Bernal, Rodrigo della Serna

di Piccarda DI MONTEREALE

Forse non tutti sanno che… Ernesto “Che” Guevara fu un incallito grafomane e scrupoloso annotatore di eventi durante tutta la sua breve esistenza. Le “Notas de Viaje”, trasposte da Walter Salles ne I diari della motocicletta, non rappresentano che una piccola parte della sua produzione diaristica, eppure di importanza capitale se si cerca di afferrare la versione più terrena di un personaggio altrimenti spesso confinato in un immaginario mitologico da eroe rivoluzionario, ottimo per poster, santini, magliette e centri sociali, ma decisamente poco fruibile per ogni altro proposito. Non lo si amerà di meno per questo, anzi. Dalle “Notas de Viaje” si esce ammaliati, pensierosi, e anche piuttosto incazzati: e questo doveva essere lo stato d’animo di un uomo che, dieci anni dopo, ritroviamo nelle vesti del Comandante Che Guevara nei boschi della Bolivia a difendere la Verità Rivoluzionaria con armi non propriamente pacifiste. Come ci sia arrivato non risulta affatto oscuro, a leggere le “Notas”, che altro non sono che gli appunti di una lunga visita medica attraverso la quale, spinto dall’irreprimibile curiosità dell’uomo di scienza (sociale in tal caso), Ernesto Guevara cominciò a tastare il polso nientepopodimeno che ad un intero continente, quello panamericano e, dato che stava per diventare medico, capì immediatamente da quali tremende malattie erano afflitte queste terre. Ed è tutto scritto lì, nero su bianco, nei suoi diari.
Anche Salles cerca di scrivere nero su bianco qualcosa, nei “Diari della motocicletta”: a tratti la narrazione si interrompe per mostrare delle magnifiche istantanee in bianco e nero nelle quali, in posa e come sospesi in attesa di qualcosa, campesinos e povera gente di tutte le risme mette in bella mostra la propria miseria. Magnifiche cartoline plastificate, inodori ed insapori. Un po’ come il resto di questa pellicola stiracchiata tra uno stile Sundance (il produttore esecutivo è proprio lui, il vecchio Robert), dalla fotografia sofisticata e le ambientazioni curate, e un genere sudamericano compromissorio come è quello di Salles, che fece peraltro un discreto centro con Central do Brasil, nel quale erano tuttavia già in agguato una certa propensione alla semplificazione e alla velata retorica.
E così la scelta del protagonista cade su Gael Garcia Bernal, piacevole e visibilmente dotato nel buon Amores Perros di Inarritu e nel piacevole Y tu mama tambien di Cuaron, e invece discretamente fuori parte in questi “Diari”, nei quali il suo faccino adolescenziale un po’ aguzzo non ricorda neanche lontanamente la massiccia, intensa corporeità di quello del Che, neanche quando aveva ventitrè anni, e a quel punto a poco serve la buona recitazione, manca proprio qualcosa.
La “spalla” Alberto Granado, interpretata dall’attore argentino Rodrigo della Serna, peraltro bravissimo, non sembra parimenti rispettare molto l’originale, se non altro per un propensione goliardica un po’ troppo spiccata e una tendenza al macchiettismo che non risulta affatto nella descrizione del generoso, mansueto personaggio descritto nel diario.
Ma qualcos’altro non convince in questi “Diari”, sia il ritmo un po’ balzellante da commedia, sia una ricerca di comicità un po’ gratuita (quella del Che era invece autentica ironia), sia i “miracoli” sparsi ad arte qua e là (il Che visita un povera vecchia, il Che dice la verità anche quando tutti mentono, il Che sfida i cattivi sfruttatori, il Che stringe la mano ai lebbrosi…), insomma, qualcuno sembra aver dimenticato qualcosa, ovvero chi accidenti era questo personaggio che si aggirò come un indemoniato per un intero continente per otto mesi, perché lo fece e quali ne furono i risultati. Tutto ciò non risulta affatto chiaro dal film, non si respira l’odore della polvere e della miseria che respirò il protagonista, non si sentono la rabbia e la consapevolezza dell’ingiustizia crescere, risulta un mistero come questo sbarbato studentello sia divenuto un giorno “il Che”.

Eppure, nei diari tutto ciò è scritto:


“(…) adesso sapevo…sapevo che nel momento in cui il grande spirito governa ogni cosa darà un taglio netto dividendo l’umanità in due sole parti antagoniste, e io starò con il popolo, e lo so, perché lo vedo impresso nella notte che io, eclettico sezionatore di dottrine e psicoanalista di dogmi, urlando come un ossesso, assalterò baricate o trincee, tingerò di sangue la mia arma e, come impazzito, sgozzerò ogni nemico che mi si parerà davanti. E mi vedo, come se una stanchezza infinita stesse già esaurendo questa mia esaltazione, cadere immolato per l’autentica rivoluzione uniformatrice di volontà, pronunciando un mea culpa esemplare. Già sento dilatarsi le mie narici, assaporando l’odore acre della polvere e del sangue, della morte nemica; già si contrae il mio corpo, pronto al combattimento, e preparo il mio essere come un tempio sacro in cui risuoni di nuove vibrazioni e nuove speranze il grido belluino del proletariato trionfante.”*
Proprio così, nero su bianco.

* Ernesto Che Guevara, “Latinoamericana. Un diario per un viaggio in motocicletta”, Feltrinelli, trad. Pino Cacucci e Gloria Corica, 1993.
 

Voto: 20/30

30.05.2004

 


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