
Forse non tutti sanno che… Ernesto “Che”
Guevara fu un incallito grafomane e scrupoloso annotatore di eventi
durante tutta la sua breve esistenza. Le “Notas de Viaje”, trasposte
da Walter Salles ne I diari
della motocicletta, non rappresentano che una piccola parte
della sua produzione diaristica, eppure di importanza capitale se si
cerca di afferrare la versione più terrena di un personaggio
altrimenti spesso confinato in un immaginario mitologico da eroe
rivoluzionario, ottimo per poster, santini, magliette e centri
sociali, ma decisamente poco fruibile per ogni altro proposito. Non lo
si amerà di meno per questo, anzi. Dalle “Notas de Viaje” si esce
ammaliati, pensierosi, e anche piuttosto incazzati: e questo doveva
essere lo stato d’animo di un uomo che, dieci anni dopo, ritroviamo
nelle vesti del Comandante Che Guevara nei boschi della Bolivia a
difendere la Verità Rivoluzionaria con armi non propriamente
pacifiste. Come ci sia arrivato non risulta affatto oscuro, a leggere
le “Notas”, che altro non sono che gli appunti di una lunga visita
medica attraverso la quale, spinto dall’irreprimibile curiosità
dell’uomo di scienza (sociale in tal caso), Ernesto Guevara cominciò a
tastare il polso nientepopodimeno che ad un intero continente, quello
panamericano e, dato che stava per diventare medico, capì
immediatamente da quali tremende malattie erano afflitte queste terre.
Ed è tutto scritto lì, nero su bianco, nei suoi diari.
Anche Salles cerca di scrivere nero su bianco qualcosa, nei “Diari
della motocicletta”: a tratti la narrazione si interrompe per mostrare
delle magnifiche istantanee in bianco e nero nelle quali, in posa e
come sospesi in attesa di qualcosa, campesinos e povera gente di tutte
le risme mette in bella mostra la propria miseria. Magnifiche
cartoline plastificate, inodori ed insapori. Un po’ come il resto di
questa pellicola stiracchiata tra uno stile Sundance (il produttore
esecutivo è proprio lui, il vecchio Robert), dalla fotografia
sofisticata e le ambientazioni curate, e un genere sudamericano
compromissorio come è quello di Salles, che fece peraltro un discreto
centro con Central do Brasil,
nel quale erano tuttavia già in agguato una certa propensione alla
semplificazione e alla velata retorica.
E così la scelta del protagonista cade su Gael Garcia Bernal,
piacevole e visibilmente dotato nel buon
Amores Perros di
Inarritu e nel piacevole Y tu
mama tambien di Cuaron, e invece discretamente fuori parte in
questi “Diari”, nei quali il suo faccino adolescenziale un po’ aguzzo
non ricorda neanche lontanamente la massiccia, intensa corporeità di
quello del Che, neanche quando aveva ventitrè anni, e a quel punto a
poco serve la buona recitazione, manca proprio qualcosa.
La “spalla” Alberto Granado, interpretata dall’attore argentino
Rodrigo della Serna, peraltro bravissimo, non sembra parimenti
rispettare molto l’originale, se non altro per un propensione
goliardica un po’ troppo spiccata e una tendenza al macchiettismo che
non risulta affatto nella descrizione del generoso, mansueto
personaggio descritto nel diario.
Ma qualcos’altro non convince in questi “Diari”, sia il ritmo un po’
balzellante da commedia, sia una ricerca di comicità un po’ gratuita
(quella del Che era invece autentica ironia), sia i “miracoli” sparsi
ad arte qua e là (il Che visita un povera vecchia, il Che dice la
verità anche quando tutti mentono, il Che sfida i cattivi sfruttatori,
il Che stringe la mano ai lebbrosi…), insomma, qualcuno sembra aver
dimenticato qualcosa, ovvero chi accidenti era questo personaggio che
si aggirò come un indemoniato per un intero continente per otto mesi,
perché lo fece e quali ne furono i risultati. Tutto ciò non risulta
affatto chiaro dal film, non si respira l’odore della polvere e della
miseria che respirò il protagonista, non si sentono la rabbia e la
consapevolezza dell’ingiustizia crescere, risulta un mistero come
questo sbarbato studentello sia divenuto un giorno “il Che”.
Eppure, nei diari tutto ciò è scritto:
“(…) adesso sapevo…sapevo che nel momento in cui il grande spirito
governa ogni cosa darà un taglio netto dividendo l’umanità in due sole
parti antagoniste, e io starò con il popolo, e lo so, perché lo vedo
impresso nella notte che io, eclettico sezionatore di dottrine e
psicoanalista di dogmi, urlando come un ossesso, assalterò baricate o
trincee, tingerò di sangue la mia arma e, come impazzito, sgozzerò
ogni nemico che mi si parerà davanti. E mi vedo, come se una
stanchezza infinita stesse già esaurendo questa mia esaltazione,
cadere immolato per l’autentica rivoluzione uniformatrice di volontà,
pronunciando un mea culpa esemplare. Già sento dilatarsi le mie
narici, assaporando l’odore acre della polvere e del sangue, della
morte nemica; già si contrae il mio corpo, pronto al combattimento, e
preparo il mio essere come un tempio sacro in cui risuoni di nuove
vibrazioni e nuove speranze il grido belluino del proletariato
trionfante.”*
Proprio così, nero su bianco.
* Ernesto Che Guevara, “Latinoamericana. Un diario per un viaggio in
motocicletta”, Feltrinelli, trad. Pino Cacucci e Gloria Corica, 1993.
Voto: 20/30
30.05.2004
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