da 62ma mostra del cinema di venezia

THE DESCENT

di Neil Marshall
Con Shauna Macdonald, Natalie Mendoza

di Gabriele FRANCIONI


Sono perle rare le pellicole capaci di rimettere in discussione i (pochi? rari?) capisaldi “etici” delle esistenze entro le quali il common man si trascina nel tentativo di puntellare al meglio i suddetti pilastri (amicizia? fedeltà? perdono?) e nonostante il fatto che egli stesso si produca in slalom quotidiani tesi ad evitarli come ingombranti paletti.
La “discesa”, cui qui si fa riferimento, è quella compiuta attraverso gli inferi del proprio “Io”, mentre esperiamo una poco gratificante vittoria/sconfitta nel confronto con i principi morali del nostro vivere.
Ovvio che tutto il film - un post-docu-horror, nei primi 15 minuti, solo vagamente simile all’exemplum delle streghe di Blair e al loro miglior figlio illegittimo (OPEN WATER) - indossi i panni della metafora, disponendo comportamenti e corpi delle protagoniste “a strati”, cioè deponendone i successivi cadaveri ai vari livelli delle grotte esplorate, secondo un criterio vagamente gerarchico-dantesco, dove alla categoria di peccato (?) corrisponde adeguata morte et sepoltura.
Ovvero.
In misura diversa e con varie sfumature, le ragazze-speleologhe si portano sotto terra “micro o macro-precedenti” (traumi dovuti a tragedie personali, sensi di colpa per tradimenti messi in atto) o semplici tratti del carattere (greed, presumption etc), che chiedono di essere affrontati attraverso un’unica prova secca – la scampagnata folle- dopo la quale saranno survivors o dead souls.
La madre di tutte le catarsi, all’interno di questo schema, è posta alla fine della dura contrapposizione tra la ragazza di colore, colpevole di essere andata a letto col marito della sua migliore amica, e quest’ultima, che rimane vedova poco dopo i titoli di testa.
Ciò che accade, in sostanza, è qualcosa di simile – tanto per rendere una vaghissima idea del succedersi degli eventi - all’eliminazione progressiva dei bambini di CHARLIE AND THE CHOCOLATE BOX: seppur in maniera molto meno rigida, schematica, chi non esperisce micro-forme di crisi o autocritica, portandosi dietro intatto il proprio difetto (superficialità, eccessiva autostima, sprezzo del pericolo etc) muore, crepa schiacciato tra le crepe della roccia che, smottando, schiaccia.
Armate delle onnipresenti videocamere digitali, le girls non claustrofobiche si calano nel buio di grotte sconosciute, non presenti nelle mappe e, quindi, innominate: alloggio perfetto per la messinscena di ciò che si diceva: innominabilia, quali colpe, peccati etc.
Procedono, insomma, verso/attraverso una dimensione che le trascende e le supera. Un aldilà/aldisotto buio come la morte. Un infernetto in scala ridotta, con tanto di gironi sempre più soffocanti dove, al posto di Virgilio-plus-Vate, incontrano (colpetto di genio di Marshall) astratti neanderthal ciechi in lattice bianco chiazzato di ecchimosi nere.
Pessima compagnia, ma ottima intuizione narrativa e registica: il treno del racconto deraglia intenzionalmente, chiedendo allo spettatore cosa teme di più, tra la Natura non antropizzata e ribelle (possibile che l’uomo debba, anche se per sport, colonizzare anche il cuore duro, l’hard-core del sottosuolo?), o se stesso, seppur in forma di essere primigenio, adattato al contesto e cattivissimo.
I terribili bipedi (?) sembrano incalzare le coscienze delle speleologhe ormai alla deriva, chiamandole ad un corpo a corpo che vale più di mille sedute dallo psicanalista, dal quale sorgeranno ancora vive la black woman e la vedova – unica ad essersi allenata nella palestra del Male & Dolore, perciò circospetta, analitica, mai superficiale – che indossa un viso strappato coi denti a Sissy Carrie Spacek.
Le accelerazioni visive, per una volta, giovano alla resa, pertinentemente cruentissima, delle lotte folli tra le umane e i gollum, votate ad un estetica che accosta senza sosta primissimi piani digitalmente blairwitchiani e stilosi piani ravvicinati di corpi rossosangue (apocalisse, adesso, subito!).
Carrie-Kurz, sapute alcune verità nel più inaspettato dei modi, ormai più forte di ogni cosa le capiti davanti, sorge dalle acque ematiche e si mette sulle tracce dell’amica nera, nera di colpa.
Lady Vengeance è in azione, mentre si muove per cunicoli molto ridleyscottiani, col suo corpo trionfante, simile ad una Ripley spietata, che ha sterminato gli alieni, ma ha scoperto (siamo nel 2005, non nel ’79), che il surplus di Male, il vero Nemico era alla sua porta, invisibile quando lo guardava sotto l’innocente/ accecante luce del sole, e riconoscibile come tale solo ora, nell’inevitabilità definitiva del nero.
Il doppio finale, così dicono, non va svelato, ma comunque toglie il fiato e soffoca quel poco di aria che era rimasta in giro, anche in sala.
Sarebbe peccato mortale sottovalutare un film così stratificato (!), capace di attraversare con sicurezza l’apparente impermeabilità dei sottogeneri dell’horror e, pregio ancora maggiore, di rendere astratti, quasi concettuali, e non grotte-scamente (è il caso di dirlo) finti, i corpi delle bianche creature underground.

Voto: 28/30

07:09:2005

 

Tutte le recensioni di Venezia 2005

THE DESCENT

Regia: Neil Marshall
Anno: 2005
Nazione: Gran Bretagna
Data uscita in Italia: 21:10:2005
Genere: Horror