Contrariamente alle aspettative, New York è di gran lunga più piovosa di
Londra o di qualunque altra metropoli inglese. Questa è la prima cosa che la
visione di DARK WATER di Walter Salles sembrerebbe insegnarci. La seconda è
che, per quanto possa vantare una delle migliori scuole della metropoli,
Roosevelt Island - città al limite della Città - non è il quartiere ideale
dove crescere i propri figli.
Remake patinato del giapponese HONOGURAI MIZU NO SOKO KARA, l’ultimo lavoro
del regista di CENTRAL DO BRASIL e I DIARI DELLA MOTOCICLETTA narra
dell’instabile Dahlia (Jennifer Connelly), irrimediabilmente traumatizzata
per l’abbandono da parte della madre alcolizzata, che in seguito al proprio
divorzio sceglie di trasferirsi con l’introversa figlioletta Ceci in un
appartamento a Roosevelt Island, che in quanto a squallore non ha nulla da
invidiare alla peggior periferia milanese.
La scelta, peraltro misteriosamente avvallata dalla figlia nonostante
l’iniziale avversione, si rivela subito infelice, e fra le misteriose
perdite dal piano di sopra, l’indisponenza del custode dello stabile, una
misteriosa amica immaginaria che Ceci sembra preferire ai suoi coetanei
reali e i tentativi del padre di ottenerne l’affidamento, Dahlia arriverà a
dubitare della sua stessa sanità mentale, e in bilico fra delirio e lucidità
si troverà ad affrontare le presenze spettrali che infestano (e allagano) la
casa e i ben più spaventosi fantasmi del proprio passato. Il tutto marinato
in molta, ma molta acqua.
Per quanto DARK WATER non contenga nessun vero e proprio elemento di novità,
riesce a diventare nelle sapienti mani di Salles una toccante esplorazione
delle cupe sfumature della solitudine e del dolore dell’abbandono. Al di là
degli elementi orrorifici della vicenda, che servono comunque a fornire la
giusta tensione al racconto, ciò che sembra interessare Salles è piuttosto
la psicologia del personaggio di Dahlia, lacerata nell’intimo dalla propria
infanzia sbagliata e ben determinata a rifarsi dell’affetto perduto
dedicandosi anima e corpo alla piccola Ceci. Ma di certi traumi si portano
sempre i segni, e nel caso di Dahlia questo si traduce in una cronica
mancanza di serenità, e in una fragilità di fondo che porterà la madre
agguerrita al cedimento psicologico non appena i ricordi affioreranno con
violenza dalle acque scure che invadono la casa.
A dispetto delle attese, fomentate senza dubbio da una furba campagna
pubblicitaria, DARK WATER più che a spaventare lo spettatore riesce a
coinvolgerlo in una situazione cupa, oppressa com’è da mura cadenti, stanze
mal illuminate e una sconfortante, continua pioggia battente. La regia di
Walter Salles, nonostante quest’ultima fatica si distacchi decisamente dalle
precedenti esperienze, riesce a organizzare abilmente questo materiale
creando un’atmosfera complessiva ed unitaria di estremo impatto emotivo.
Fondamentale l’interpretazione di Jennifer Connelly, che riesce egregiamente
nell’intento di rendere un personaggio sofferto e intenso nel suo dolore,
reggendo così sulle proprie spalle una buona parte del film. Meritevoli di
menzione Pete Postlethwaite nel ruolo del burbero custode e Tim Roth nei
panni dell’avvocato Platzer, unico alleato di Dahlia e più solo di quanto
egli voglia far pensare. “Di mestiere” l’interpretazione del logorroico
amministratore condominiale da parte di John C. Reilly, alle prese con un
personaggio a lui piuttosto congeniale.
In definitiva, una coinvolgente trattazione di alcune delle stanze più cupe
dei sentimenti umani, sorretta da un’impalcatura narrativa ordinaria eppure
efficace, funzionale comunque a coinvolgere nell’esplorazione che l’opera si
propone di tentare.
Voto: 27/30
20:10:2005 |