
Terminato nel 2002, ma sbarcato in Italia solo ora,
Cypher, secondo
lungometraggio del regista canadese Vincenzo Natali, richiama in parte
l'estetica asettica e vagamente razionalista del debutto
The Cube, ma non ne ricalca
il minimalismo a livello di sceneggiatura. Diretto con mano ferma e graziato
da intuizioni visive notevoli, The
Cube sarebbe stato un mediometraggio meraviglioso, ma l'eccessiva
tendenza involutiva della sceneggiatura ed il finale dilatato e confuso ne
avevano fatto un lungometraggio poco più che discreto. Alle prese con una
storia più sostanziosa e complessa (addirittura troppo, forse), Natali ha la
possibilità di dare fondo al proprio talento per rendere giustizia a
personaggi interessanti e tematiche che, seppur piuttosto sfruttate, si
prestano a molteplici interpretazioni. La vicenda vede Morgan Sullivan,
ligio family man, assumere una nuova identità per prendere parte di
un progetto di spionaggio industriale al servizio della Digicorp, azienda
leader nelle comunicazioni informatiche. La storia del nostro Sullivan,
ottimamente interpretato da Jeremy Northam, viene srotolata con mano sicura
da Natali, che evita, almeno nei primi quarantacinque minuti, di dare allo
spettatore troppe certezze sul reale ruolo del protagonista nella vicenda,
lasciando spazio a momenti esteticamente appaganti (come il notevole campo
lungo sulla sede della Digicorp) e ad una caratterizzazione degli ambienti
piuttosto convincente. Con l'infittirsi delle trame e lo svelamento
dell'identità di Rita, alias Lucy Liu, la piacevole atmosfera sospesa di cui
è pervasa la prima tranche di pellicola lascia spazio a situazioni a
metà tra lo spionistico ed il cyberpunk, che certamente alzano il tenore
cinetico del film, ma mettono da parte certe considerazioni degne di nota
sulla spersonalizzazione del protagonista accennate nella prima metà del
film. La natura fantascientifica dell'opera permette una certa dose di
aleatorietà nella spiegazione delle relazioni di causa/effetto previste
dalla trama, ma in questo frangente Natali calca troppo la mano, lasciando
lo spettatore privo di appigli nel bel mezzo di una sceneggiatura complessa,
nella quale le dinamiche di relazione tra i personaggi cambiano con estrema
rapidità. Pur glissando su qualche dovuta spiegazione, il regista si occupa
con particolare zelo del protagonista, dirigendolo ottimamente anche quando
è intrappolato in un turbinio di identità e ricordi, o pseudo-tali,
sottomesso ad una volontà immanente e, quasi si trovasse in una condizione
affine a quella dello spettatore, costretto ad attendere il dispiegamento
degli eventi. All'atto di ribellione di Sullivan di fronte a questa
passività coatta corrisponde la risoluzione della pellicola, in un finale
che, come già accaduto con The Cube,
non risolve ogni dubbio ma ipotizza una spiegazione alla problematica
relativa all'identità avanzata nella prima parte del film. Volendo perdonare
al regista qualche difficoltà nel risolvere la parte centrale della storia,
oggettivamente piuttosto intricata,
Cypher segna un passo avanti rispetto a
The Cube, confermando la
solidità di Natali dietro alla macchina da presa anche a fronte di un
soggetto che, per ramificazioni di sceneggiatura e complessità dei
personaggi, poteva risultare poco adatto alla poetica del canadese.
Voto: 26/30
02.06.2004
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