Accantonato il (folle) progetto di fare un
remake di Kairo,
capolavoro horror di Kurosawa Kiyoshi di qualche anno fa, Craven torna a
lavorare col fidato Kevin Williamson. Il quale, dopo i vari
Scream, Dawson's Creek, The
Faculty, scrive (e produce) l'ennesima variazione sul tema dell'autoreferenzialità
dell'immaginario cinematografico statunitense (horror in particolare).
Cursed è ambientato
direttamente a Hollywood: due orfani adolescenti, lui liceale sfigato e
lei funzionaria televisiva affermata, fanno un incidente sulla
Mulholland Drive (prima citazione, già non poco irriverente e fuori
luogo) e vengono contagiati da un licantropo. Ben presto scopriranno che
il contagio è più ampio del previsto.
In sé non è un problema che l'horror ripieghi su sé stesso (fra l'altro,
il ragazzo della protagonista apre un locale, il “Tinsel”, pieno di
memorabilia horror del passato – il bastone autentico di Lon Chaney,
Frankenstein, la Mummia eccetera)... il problema è che Craven segue
Williamson dove non dovrebbe. Vale a dire, inerpicandosi su lateralità
di sceneggiatura assurde, arbitrarie e inconsistenti (l'omosessualità
del bulletto amico del protagonista che dovrebbe essere per Williamson
una “mutazione da accettare” analoga a quella della licantropia...). Al
punto che il film rimane come indeciso tra le varie strade che può
intraprendere e non ne prende nessuna. Un colpo al cerchio dello
spavento “puro”, che peraltro viene pateticamente mancato con scene
timide e sbrigative come quelle dell'ascensore, dell'incidente, della
zingara o del cane posseduto, e uno ai deliri autoreferenziali (la scena
della sala degli specchi, o più in generale la sezione ambientata nel “Tinsel”).
Ma tra le due cose c'è solo una confusa compresenza anziché convergenza
strutturale: non la contrapposizione ferrea dei primi due
Scream (Tesi, nei primi
15 minuti, e Antitesi, nel resto del film) né la sapiente alternanza di
Scream3.
Insomma, che l'Immagine (e quindi Hollywood) facendo trionfare la
Superficie inneschi anche la riemersione del rimosso bestiale che
soggiace nel Profondo lo sapevamo anche da prima di Lon Chaney. Il
Craven di una volta, quello che sapeva ritardare l'inevitabile morte
dell'horror prendendolo sempre in contropiede anche prima della fregola
metacinematografica (p. es. Il
serpente e l'arcobaleno, film restio come pochi a farsi
inquadrare docilmente nel genere horror, pur essendolo in pieno),
avrebbe saputo dare tutt'altro peso all'unica idea interessante del
film: il fatto che il Lupo “capostipite” dell'epidemia è quello che non
appare mai come tale mentre (la scena del “Tinsel”) tutti gli altri sono
anche visibile oggetto della mutazione e sede della coesistenza tra
Superficie Apparente e Profondo Bestiale. Nonché, avrebbe fatto della
scena del “Tinsel” il vero cuore del film. E invece rimangono pallidi
indizi incompiuti, e in mezzo (come quando il ragazzo va alla finestra e
ulula ai cani per strada) tanto ridicolo involontario.
Voto: 15/30
31:03:2005 |