
Se una delle funzioni dell’arte, o uno dei
modi d’intenderla, è la documentazione di aspetti drammatici della realtà,
la loro rappresentazione ‘disvelante’ sullo schermo, il lavoro di
Winterbottom di certo ci azzecca in pieno.
Cose di questo mondo è la
cronaca del viaggio di due profughi afgani in fuga dalla miseria verso
l’illusione dell’occidente, una odissea zeppa di umiliazioni, imprevisti e
vertiginosi avvicinamenti ad un potenziale epilogo tragico. Il racconto è
costruito con una abilità registica ed una evidente passione personale che
lo rendono coinvolgente ed efficace, perentorio ma non predicatorio. La
macchina da presa digitale frenetica ed incollata ai protagonisti proietta
lo spettatore dentro la scena; l’abilissimo uso della luce naturale, anche e
soprattutto in condizioni per così dire ‘non canoniche’, come nella scena
notturna sulle montagne, così come i dialghi in lingua, o meglio in lingue
originali, e la scelta di montare seguendo la successione cronologica delle
riprese, rendono la storia estremamente realistica, credibile e per questo
agghiacciante; la disperazione terribilmente evidente ma non eccessivamente
urlata dei personaggi protegge dal rischio di uno scivolamento nel patetico.
Tuttavia non si può negare che quando un regista si cimenta nella
trattazione di temi così impegnati e sulla bocca di tutti di questi tempi,
ha il vantaggio di esporsi ad una critica rammollita dal valore ‘etico’
dell’impegno e spesso gli basta inserire qualche scena d’effetto, come una
guardia che ti lascia oltrepassare il confine verso una presunta salvezza se
gli regali un walkman, una manica di disperati intombati ai limiti
dell’asfissia nel retro di un camion o delle fucilante in notturna, per
colpire al cuore e shoccare chi si siede al cinema pensando di trascorrere
una serata tranquilla. In questi casi però ciò che davvero fa la differenza
tra il buon film/documentario di stampo neo-realista e il capolavoro
destinato a sorvolare i ridimensionamenti del tempo è l’analisi critica del
fatto, la capacità di sviscerare la vicenda alla ricerca della sua origne
storica e, se vogliamo, esistenziale; la capacità, cioè, di darne una
lettura aggiuntiva a quella di dominio comune, o almeno di farne conoscere
aspetti trascurati. Di storie drammatiche come questa, con tutto il
sacrosanto rispetto per il dolore di chi ne è vittima, sono pieni i
rotocalchi e le trasmissioni televisive, ed il film di Winterbottom non è
nulla di più che una efficace e cinematograficamente evoluta ‘messa in
scena’ di questa crudele realtà: non che sia poco, ma non è il massimo. Un
film di tutto rispetto, ma se l’orso d’oro a Berlino sia stato meritato o
meno dipende, in fondo, dall’idea che si vuole avere di cinema.
Voto:27/30
07.07.2003
|