
Ha l'apparenza di un film come tanti altri questo primo lavoro di Kenneth
Lonergan, sceneggiatore teatrale e cinematografico (TERAPIA E PALLOTTOLE)
alla sua prima esperienza registica: è la storia di due fratelli uniti
dalla disgrazia della morte dei genitori quando erano bambini e divisi
dalle diverse scelte di vita, per cui Sammy (Laura Linney) vive ancora
nella cittadina di provincia dove è nata, conducendo un'esistenza apparentemente
tranquilla e misurata, mentre Terry (Mark Ruffolo) gira il mondo alla
ricerca di una stabilità che però non trova da nessuna parte. Nemmeno
il ritorno a casa dalla sorella riuscirà a placare la sua insofferenza,
anche se gli permetterà di approfondire la conoscenza con suo nipote,
un bambino di 8 anni che Sammy cresce da sola e che non ha mai conosciuto
il padre.
Ma dietro questa semplice storia c'è un racconto di sfumature che cattura
lo spettatore e lo trascina direttamente dentro i personaggi. Quello che
si vuole rappresentare è il loro mondo emotivo, in tutte le sue sfaccettature
e contraddizioni. E così, davanti ad immagini in parte già viste e ad
una trama che alla fine può sembrare prevedibile, la vera particolarità
di questo film sta nella capacità di cogliere i momenti e di saperli raccontare
in modo naturale, semplice, ma intenso. Sembra quasi che il regista abbia
voluto separare i due piani: da un lato quello formale del racconto e
dall'altro quello che sta dietro la storia e che nello stesso tempo le
dà spessore. Perché dalla vita di Sammy e Terry, dalle loro vicende, dal
loro modo di parlare e dalle cose che dicono, dai loro sorrisi e dai momenti
in cui abbassano gli occhi noi capiamo tante cose che non fanno parte
della storia, che nessun narratore ci spiega, ma che ci appaiono chiare
e limpide, come è proprio delle cose vere.
A ciò contribuisce anche una scelta stilistica particolare, che vede succedersi
sequenze molto diverse tra di loro: infatti, accanto a scene statiche
si affiancano momenti vivaci e ritmici. Come se questa intermittenza fosse
un modo per assecondare i sentimenti dei personaggi e per facilitarne
la resa. Non solo, ma anche la scelta di girare in interni i momenti con
i dialoghi più intensi risponde al medesimo intento di guidare lo spettatore
nel percorso emotivo segnato dal regista. D'altra parte Lonergan è anche
lo sceneggiatore del film (nonché interprete, nella parte del prete) e
questo contribuisce a dare al messaggio un'omogeneità di fondo. E il messaggio
è quello dell'eterna ambiguità delle emozioni e della vita in genere,
che i due protagonisti riescono ad interpretare al meglio, servendosi
l'uno dell'altro per raccontare se stessi.
Malgrado l'intensità della pellicola, quello che poi manca, appunto, è
un supporto narrativo interessante. Infatti la storia, sebbene nella prima
parte sia in linea con il tipo di atmosfera che si vuole raccontare, mano
a mano finisce per cadere nella trappola della banalità, rischiando di
far classificare questo come un film di genere. Il finale sembra un po'
frettoloso, ma forse è una scelta voluta e in linea con l'idea che l'unico
modo per rimettere ordine dentro di sé dopo delle forti emozioni e quello
di archiviarle velocemente per poi magari recuperarle un po' per volta
col tempo.
Vincitore del Sundance Film Festival 2000 come miglior film e miglior
sceneggiatura e di numerosi altri premi, non ha avuto la stessa fortuna
agli oscar dove concorreva per la miglior attrice e per la miglior sceneggiatura.
Voto: 27/30
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