
Per i fans del frizzante sceneggiato ai
vertici d’ascolto tv Sex and the
City, l’argomento di Come
farsi lasciare in 10 giorni può risultare familiare: la protagonista,
Andie, è giornalista addetta alla rubrica “come fare” di un rotocalco
femminile di rara vuotezza concettuale stile Cosmopolitan. Stanca di votare
la propria vena di scrittrice ad argomenti futili ed effimeri come
pelletterie e profumi, Andie decide di guadagnarsi definitivamente la
fiducia del capo scrivendo un articolo ai limiti dell’impossibile: ispirata
da una collega eternamente scaricata dagli uomini in pochi giorni,
descriverà i classici errori che portano una donna ad essere eternamente
mollata, e la cosa risulterà tanto più credibile in quanto sarà lei stessa a
fare da cavia all’esperimento.
Andie parte quindi alla ricerca di un cavaliere e la sorte vorrà che la
scelta cada proprio su un baldo pubblicitario, Benny, che ha appena fatto
una particolarissima scommessa col suo capo a scopo promozionale: farà
innamorare di sé una ragazza in 10 giorni.
I due giocano entrambi abilmente la propria commedia. Nella prima uscita di
riscaldamento, Andie fa la mossa che, a quanto pare, è il sistema
riconosciuto per sedurre infallibilmente il maschio medio americano, ovvero
lo porta alla solita partita di basket (dalle nostre parti funzionerebbe
meglio il calcio), ma Benny, che è convinto a questo punto di avere già la
situazione in pugno, sta solo per entrare nel suo piccolo inferno personale.
Col passare dei giorni, Andie mette a segno i peggiori errori, secondo gli
stereotipi più sdruciti, che una donna possa fare all’inizio di una
relazione: essere appiccicosa, sentimentale, bisognosa d’affetto,
imprevedibile. E dovrà rincarare progressivamente la dose quando si
accorgerà con stupore che Benny, fedele alla sua scommessa, resiste a
qualsiasi angheria femminile, e in particolare alle mille invasioni nella
sua cara vita da single piacione: invasioni di peluche rosa in ogni angolo
della casa, invasioni nel bel mezzo del fatidico poker del venerdì sera,
invasioni telefoniche a ripetizione, e così via. Non potendo liberarsi di
questa calamità, Benny cerca di farla definitivamente capitolare
sentimentalmente, arrivando a presentarla alla propria famiglia come
fidanzata ufficiale (colpo basso). La cosa funziona così bene che i due
cominciano a dubitare del proprio gioco e a provare realmente qualcosa l’uno
per l’altro. Ma l’esito finale della scommessa li aspetta, e così, mentre lo
spettatore attende ormai rassegnato il lieto fine da protocollo, Andie e
Benny si accapigliano dopo aver scoperto le reciproche scommesse, perdono
fiducia l’uno nell’altro, si perdono di vista per qualche giorno fingendo di
odiarsi, e si ritrovano infine con fugone romantico di lui dietro al taxi
che sta portando per sempre lei in un’altra città.
C’è in molti fim quello che si potrebbe chiamare “un punto di non ritorno”.
In Come farsi lasciare, dopo
un inizio quasi incoraggiante, solleticati dal rompicapo in cui si
dovrebbero incrociare bugie e verità, atteggiamenti e spontaneità, forieri a
tratti di un’autentica comicità che incoraggia quasi a sperare in uno
svolgersi indolore della sceneggiatura, a due terzi circa del film la
situazione precipita verso il peggio, finché la sciatteria e l’arruffarsi
confusionario del finale non lasciano alcun dubbio. Se si era disposti a
sorvolare sulla pochezza delle situazioni scelte, sulla necessaria
semplificazione con cui vengono affrontati un numero decisamente
sovrabbondante di argomenti sulla relazione di coppia, che non basterebbero
un paio di annate di Cosmopolitan a sviscerare, è umanamente difficile
sopportare regia e sceneggiatura che fanno a pugni e sberle, mentre un
direttore della fotografia impazzito mette e leva “calze” (quegli effetti
flou molto amati dal nostro presidente del consiglio) tra
un’inquadratura e l’altra della stessa scena.
Un peccato, si potrebbe dire, o un’occasione mancata, e di certo lo è per
Kate Hudson (figlia di Goldie Hawn, di cui rievoca la freschezza e anche, a
suo modo, il talento comico, già premiata per un filmino carino come
Almost Famous con il Globe Award), e senz’altro per un produttore
come Robert Evans che, prima di associarsi in questa produzione con il
calibro di mediocrità hollywoodiana Lynda Obst (Insonnia
d’Amore, tanto per citarne uno), ha prodotto cosucce come
Rosemary’s Baby,
Harold e Maude o
Il maratoneta. Non c’era
d’altra parte da aspettarsi granché dagli sceneggiatori ingaggiati per
adattare il romanzo da cui è tratto
Come farsi lasciare, il cui unico lavoro è stata la sceneggiatura de
La carica dei 102. E,
diciamolo pure, neanche da Donald Petrie, che ha diretto finora pellicole
assai ordinarie.
Voto:20/30
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